Ieri siamo andati con le suore a fare una gita ad Haiti. Ho preso contatto con Madda (Maddalena Boschetti), una signorina consacrata originaria di Pegli, che conoscevo dai tempi in cui ero curato là, e che lavora in una missione dei camilliani a Port-au-Prince, la capitale. Madda è stata ben contenta di riceverci, e avrebbe anche voluto che ci fermassimo, ma abbiamo dovuto fare un tocca e fuggi partendo da Santo Domingo al mattino e rientrando la sera tardi.
Le mie condizioni di salute non erano buone, perché ho ancora l’influenza, ma non erano abbastanza cattive da non farci partire. Anche perché per le suore non sarà facile avere un’altra occasione per visitare Haiti e avere qualcuno che gliela faccia vedere.
Partiti quindi alla mattina presto, verso le 11 entravamo a Haiti attraverso Jimaní. Dall’altra parte della frontiera, un po’ più in giù, ci siamo incrociati con la jeep di Madda che ci veniva incontro. Con lei, sul veicolo, sette bellissimi bambini del centro dove lavora. Al mio “comment sa va?” hanno risposto un elegantissimo “sa va bien” in perfetto francese che studiano a scuola (tra di loro parlano il creol, un incrocio tra francese, spagnolo e dialetti africani).
Con la scorta di Madda siamo quindi arrivati alla capitale Port-au-Prince. In realtà non ci siamo neanche resi conto di arrivare alla capitale, perché lungo il cammino niente ci ha fatto pensare che entravamo in una città: soltanto le case sono diventate più fitte, ma poi nessun cartello, nessun cambiamento nella strada. E difatti poi Madda ci ha spiegato sia la strada che viene dalla Repubblica Dominicana, sia la strada più importante del paese, quella che porta dalla capitale al nord del paese, sono entrambe della larghezza di una strada di città.
Il barrio dove i camilliani e Madda lavorano è alla periferia nord di Port-au-Prince. Inutile dire che appena siamo usciti dalla strada che veniva dalla frontiera è sparito anche l’asfalto. In quella zona della città non ci sono strade asfaltate. E i buchi metto a dura prova non solo i pedoni (perché quando piove diventano fango) ma anche i guidatori, che rischiano di arrivare a sera senza reni.
I padri camilliani della missione sono tre, e hanno lì un grosso dispensario medico con tanto di maternità e il noviziato. La situazione di Madda è particolare, perché lei ha fatto una consacrazione come “affiliata” ai camilliani, e di fatto è lì appoggiata a quella comunità dove pensa che rimarrà tutta la vita. Il suo lavoro è quello di seguire un centro per bambini handicappati e abbandonati. A volte le famiglie “scaricano” loro i figli con handicap, altri sono loro ad accoglierli, mentre altri li seguono a domicilio. E poi ci sono vari minori che non hanno handicap ma che non hanno o non avevano una famiglia che desse loro calore. Madda tiene insieme tutto questo, coordinando il personale infermieristico e di appoggio, che è tutto locale.
Arrivati alla missione che era quasi l’ora di pranzo (ma c’era un’ora di fuso orario di cui né noi né Madda sapevamo), abbiamo potuto rinfrescarci. Dopo il pranzo, Madda ci ha portati in centro, facendoci vedere per la strada i residui della guerra civile del 2004 – case crivellate di proiettili – e portandoci ai limitare della bidonville dove né la polizia né l’ONU si arrischiano ad entrare.
Più significativo turisticamente è il quartiere vicino al Palazzo Presidenziale. Di notevole importanza culturale il monumento allo schiavo che proclama la libertà: ancora legato a una catena, sta suonando la conchiglia per chiamare a raccolta i suoi fratelli negri. Allusione all’indipendenza dalla Francia ottenuta nel 1804, quando i ribelli negri, sconfitto l’esercito francese, requisì tutte le proprietà dei bianchi e passò a fil di spada tutti i colonizzatori.
La grande piazza dove c’è questo significativo monumento ospita anche il palazzo presidenziale, e lì attorno c’è tutta la zona di rappresentanza diplomatica. Lo spazio di rappresentanza è molto limitato, appena ci si allontana si rivedono i mercatini e il brulicare di gente tipici delle zone povere.
Facendo un paragone con la Repubblica Dominicana, si nota un’arretratezza sociale, igienica e culturale più che evidente. Il che spiega perché gli haitiani fanno carte false per venire a Santo Domingo.
Madda ci ha poi parlato dei problemi politici, che non sono ancora risolti, e che forse non si risolveranno mai, se le dinamiche sono le stesse che in Repubblica Dominicana.
Il giro per la capitale, breve, ci ha permesso tuttavia di vedere tutte o quasi le mete turistiche. Già verso le 4.30 locali eravamo in viaggio sulla via del ritorno.
Con Madda e i padri camilliani siamo rimasti d’accordo di fare una visita più pacata, se il Signore ci aiuta in occasione di una delle mie prossime puntate alla Repubblica Dominicana.
Alle 11 di sera siamo arrivati a casa. Abbastanza stanchi!