Contributi nella categoria 'Visitatori'

1:08 pm

Sandra

Ho rivisto Sandra, a casa sua. Avevo varie lettere da varie persone del Guaricano. Sandra non è stata molto in Guaricano, ma c’è stata abbastanza per lasciare dietro di sé una scia di allegria e ottimismo, insieme a forse un poco di pazzia.

L’ho trovata nella sua casa di Sampierdarene, con sé la mamma molto anziana, che vuole bene a Sandra, ovviamente superricambiata, in maniera speciale.

Mi ha promesso che mi avrebbe preparato qualche letterina da far arrivare al Guaricano, ed ha assicurato la sua presenza a casa mia per domani, insieme a Francesco e Paola.

Insieme a Erika e Alessandro verranno in visita alla missione don Giulio Boggi, don Franco Buono e don Mario Montaldo.

Don Franco è un veterano, avendo lavorato nella missione tre anni. Don Giulio ancora di più, perché di anni in missione ne ha fatto sette!

Invece don Mario è alla sua seconda (o terza visita).

Li aspettiamo tutti con gioia!


don Paolo a cena da Erika e Alessandro a Genova

Ieri sera sono stato a cena con Erika e Alessandro. Sono una giovane coppia della parrocchia di Sant’Eusebio che questo stesso mese verranno a visitare la missione.

Staranno con noi una decina di giorni, dal 18 fino quasi a fine mese.

Sono molto sensibili ai temi del volontariato, e a Genova portano avanti un impegno con i senza fissa dimora.

Sono sicuro che la loro visita sarà fruttuosa!

10:40 pm

Da Paola


da Paola con Francesco e don Franco

Con Francesco e don Franco siamo stati a cena da Paola.

È stata una maniera di rivivere tanti giorni belli passati insieme al Guaricano. Paola poi è una cuoca specialissima.

Speriamo di riavere presto con noi Paola in missione. Ci ha detto che potrebbe arrivare a estate inoltrata.

Sarebbe venuta anche prima se la rottura di un braccio non l’avesse costretta a rimanere a Genova

Questa è la notte di Natale… Le campane delle Chiese genovesi suonano, ci sono mille luci accese lungo le strade, aria di festa… Tra poche ore mi aspetta in parrocchia la Messa dei bambini: ogni anno prepariamo i canti e devo dire che i miei ragazzi si impegnano sempre molto; sarà bello condividere con loro la gioia della nascita di Cristo, non potrei farne a meno.

Ma c’è un’altra cosa che penso adesso e che fa di questo Natale un Natale per me davvero speciale: è il sorriso delle persone che ho incontrato nel Guaricano, in questo momento di festa il mio pensiero più caro va a tutte loro… Vorrei dirvi che vi porto con me sempre e che vi ricordo tutti, specie i ragazzi del corso di inglese. Vi auguro di cuore di trascorrere un Natale di gioia e serenità in compagnia delle persone che amate. Il calore che sentite ora è perchè vi sono vicina e vi voglio bene.

FELICE NATALE!

Carissimi don Paolo e don Lorenzo,

vi informo che questa sera siete andati in onda su RaiTre al telegiornale regionale: EVVIVA! Per la verità anche ieri dopopranzo e alla sera c’era il servizio relativo alla missione, ma io non lo sapevo e me lo sono perso. Oggi però mi sono documentata, cioè ho mobilitato mezza Genova per avere notizie (un grazie a mia zia e a Tarcisio Mazzeo per la collaborazione), e a mia volta ho cercato di spargere la voce… Molti miei amici e parrocchiani l’hanno visto, a giudicare dal numero di volte che ha squillato il cellulare dopo.

Che bello vedere i volti dei ragazzi del barrio in tv… mi hanno trasmesso una carica che ancora adesso non penso ad altro! E la sapete una cosa? Domani e per altri tre giorni sarà mandato in onda il resto del reportage, sono al settimo cielo!!!

Grazie Gesù per questo grande regalo…

È andato in onda poco fa il servizio (penso) di Tarcisio Mazzeo sulla missione del Guaricano.

Non l’ho visto, ovviamente, ma me ne aveva avvisato don Francesco Di Comite, e ne ho avuto un riscontro su wikipedia.

Se qualcuno l’ha visto ci dica qualcosa!

A mo’ di retrospettiva, condivido con voi il lavoro che sono venuti a fare qui Carlo Mosci e Massimo Corazza, i due oculisti attraverso i quali ci sono arrivate le apparecchiature (nuove, per un valore totale di varie decine di migliaia di euro!) per la visita oculistica.

Non contenti di farci arrivare questi strumenti, sono venuti qui una settimana per montare il tutto.

Così sono arrivati i 27 ottobre, in men che non si dica hanno installato tutto, e due giorni dopo hanno cominciato a vare visite a tutto spiano. In totale, in quattro giorni che hanno avuto a disposizione, hanno visitato ben 350 persone! Alcune di esse avevano problemi significativi, la maggioranza se l’è cavata con la prescrizione degli occhiali. Sono stati trovati vari bambini con l’occhio pigro, con i quali è stata avviata la classica procedura del bendaggio dell’occhio sano.

Carlo e Massimo avevano tre buoni aiutanti: Marta e Lucia (figlie di Carlo) e Paolo (figlio di Massimo), tutti e tre sui vent’anni, con molto entusiasmo e generosissimi nel servizio!

La cosa bella è stata che non sono venuti solo a fare un servizio medico, ma si sono integrati bene anche alla vita della comunità cristiana, partecipando alla Messa tutti i giorni con noi e dando la loro testimonianza di fede ai fratelli domenicani.

Per dare continuità al lavoro abbiamo cercato un’oculista dominicana, e dobbiamo vedere se è possibile che si integri all’equipe del dispensario medico. Sembrava che fosse molto facile, e al momento di concretizzare sono usciti alcuni problemi. Vi chiediamo anche a voi una preghiera per riuscire a risolverli. Nel frattempo continuiamo a cercare altri oculisti che possano essere diponibili per il lavoro.

Trecentocinquanta pazienti è il numero di persone visitate nei quattro giorni in cui con Massimo e i nostri figli siamo stati in ambulatorio della misssione del Guaricano.

Il grande numero è stato determinato dalla realtà nuova dell’ambulatorio stesso, dalla necessità delle persone e dalla disponibilità di tutti coloro che hanno dato una mano tra cui Suor Blessila, le ragazze del Guaricano che hanno fatto da segretarie e dalle persone stesse che pazientemente hanno aspettato il loro turno a volte con attese lunghe.

Il grande numero di persone visitate è stato anche importante per inquadrare al meglio le necessità e il tipo di messaggio medico da lasciare alla Dott.ssa Álida Snchez che continuerà il lavoro.

Sicuramente la prima cosa è venire incontro alle necessità delle persone anche le più banali, ma l’ascolto è sempre la cosa più importante. Poi la parte della prescrizione di occhiali cosi importanti per una popolazione spinta alla lettura della parola di Dio; l’aver potuto dare per pochi pesos di spesa un occhiale che risolvesse il problema è stato molto bello (l’impegno futuro sarà quello di rifornire sempre l’ambulatorio di occhiali usati che possano essere dati a chi ne ha bisogno).

Infine le indicazioni chirurgiche per i due problemi principali che sono la cataratta e lo pterigio così diffuso in queste popolazioni.

Insomma lavoro da fare ce ne sarà. manterremo il nostro impegno da Genova con l’impegno di tornare.

Buon lavoro Dott.ssa Álida!

Questa è stata la mia terza volta a Santo Domingo, nella missione genovese del Guaricano.

La prima volta è stata nel 1992, con il cardinal Canestri, come responsabili delle aggregazioni genovesi per conoscere e far conoscere la missione.

La seconda nel 2000, per incontrare mio fratello e portare i miei genitori a conoscere la parrocchia di don Paolo.

La terza questa settimana, per poter ri-incontrare don Paolo, assieme ai miei, e per rivedere questa realtà di chiesa ben diversa dalla nostra.

Il primo bilancio a caldo è largamente positivo, per diversi motivi: l’affetto di tutti, l’accoglienza calorosa dei dominicani, l’incontro con la comunità parrocchiale, la freschezza e gioventù delle espressioni di fede, il sorriso dei bambini e le treccine delle bambine.

Ma questa esperienza, come tutte le esperienze forti, va lasciata decantare qualche giorno, per poter cogliere, in trasparenza, tutta la realtà, fatta di cose positive e di qualche fatica. Avrò quindi occasione di scrivere ancora.

12:47 pm

Messa di saluto

Questa mattina, alle 7.00, nella chiesa provvisoria della nuova parrocchia della Divina Misericordia, abbiamo salutato la comunità parrocchiale del Guaricano. La messa, come sempre, è stata una gran festa; la gente era molto partecipe ed attenta nell’ascolto della parola, nella preghiera d’intenzione, nella preghiera di ringraziamento, nell’accostrarsi all’eucaristia. Sono stati portati all’offertorio insieme al pane e al vino cinque ceri accesi, segno delle cinque vergini sagge, un cesto di viveri per i più poveri, tre bimbi appena nati. Alla fine della messa sono state presentate alla comunità le persone che hanno scelto di iniziare il catechismo, giovani e adulti che vogliono conoscere di più il Signore e crescere nella fede.

È stato poi il nostro turno. La prima a salutare e ringraziare la comunità è stata la mamma, poi il papà, ed infine io e la zia. Tanta emozione nelle nostre parole, ma anche in quelle dei parrocchiani del Guaricano. Ovviamente noi abbiamo avuto bisogno del traduttore, mentre è successo un piccolo miracolo: siamo riusciti a comprendere quanto ci hanno detto senza alcuna traduzione. È proprio vero che il linguaggio dell’amore è universale.

Dopo i saluti, un abbraccio grande, con ognuna delle persone presenti e un arrivederci, augurato da entrambe le parti, come promessa di sostegno a vicenda nella preghiera e nel ricordo continuo.

Durante la settimana ho partecipato a due incontri di formazione degli animatori pastorali (una trentina in tutto). Sono stato molto contento perché stata per me una esperienza di chiesa molto intensa, anche se il mio poco spagnolo non mi permette di comunicare.

Due annotazioni opposte che mi vengono dal cuore:

  1. Lo slancio, la passione, l’entusiasmo degli animatori erano veramente incomiabili e sono stati un grande esempio per me. Se mettono la stessa passione, come credo, nel loro servizio pastorale, il loro annuncio e il loro servizio certamente trascinano altre persone nell’incontro con Gesù.
  2. Per contro, ho notato una certa povertà culturale, probabilmente dovuta alla poca istruzione, ma forse dovuta anche ad un atteggiamento mentale, quello di vivere tutto emozionalmente prima che con la testa (esattamente l’opposto di noi europei).

Questa comunque è la comunità, e gli animatori sono sicuramente un dono grande nel servizio pastorale per poter arrivare a quante più persone possibili dei quarantamila parrocchiani.

Oggi i miei mi hanno aiutato a portare avanti la preparazione del Laboratorio di Informatica.

C’erano da preparare 40 cavi ethernet di varie lunghezze, e tra Francesco (parte tecnica) e la mamma e la zia (forbici) il lavoro è quasi finito.

Poi nel pomeriggio Francesco e papà hanno cominciato a mettere le canalette in cui correranno qui cavi. Il lavoro è solo all’inizio, ma è ben impostato e praticamente il grosso che c’è da fare sono tanti bei buci nelle pareti.

È un piacere ricevere quest’aiuto. Lo devo al Signore, e anche alla servizialità di tutti i miei! Grazie!!!!

Massimo e Carlo, con i loro figli rispettivamente Paolo e Marta e Lucia, sono partiti oggi pomeriggio per Genova.

Nei pochi giorni che sono stati con noi hanno lavorato sodo! In particolare da lunedì a giovedì hanno lavorato dalle otto del mattino alle 12.45, e poi dalle due alle sei e mezza / sette.

L’hanno fatto con amore, e questa è stata la cosa più bella!

Oggi ho dedicato la giornata a una gita con i miei nell’interno del paese: La Vega, Santo Cerro, Monte de Oración.

Con noi c’era anche Carmen, e siamo passati da Hogar Crea a prendere suo marito che è in quella comunità di recupero per drogati e alcolizzati.

Abbiamo passato una giornata serena, anche se un po’ faticosa a causa del cattivo stato di molte strade.

Continuano a ritmo serrato le nostre consultas (visite) oftalmologiche.

Grazie all’aiuto dei nosrti figli Paolo Marta e Lucia, io e Carlo riusciamo a visitare quasi 100 persne al giorno. E’ sicuramente unesperienza emozionante e gratificante venire a contato con una realtà di estrema povertà ma allo stesso tempo per noi di forte arricchimento per lo spirito e per affrontare megio la realtà quotidiana al nostro ritorno in Italia.

Le nostre giornate iniziano presto al mattino con la Messa e poi continuano quasi senza pausa fino alle sera: però lo spirito è quello giusto, positivo, e la stanchezza non si sente.

Ringrazo il Signore per avermi concesso questa opportunità.

Ieri abbiamo incontrato la dottoressa Álida.

È molto simpatica e disponibie. È stato molto importante lavorare con lei tutto il pomerggio, sia per verificare insieme gli strumenti sia per “verificare” il suo modo di lavorare con i pazienti. È molto disponibile e gentile e ciò è importante per la gente.

Ad oggi Massimo e io le abbiamo lasciato molto lavoro, in particolare pazienti da operare (cataratte soprattutto e la cosi detta uña, cioè lo pterigio, che è la pellicina che cresce sulla superficie dell’occhio e che determina la riduzione della vista.

Sono sicuro che grazie a lei ci sarà un buon proseguimento dell’assistenza oftalmologica alla missione.

Ieri lunedi ultimo di ottobre, abbiamo finalmente iniziato l’ambulatorio di oculsitca; così io, Massimo, e i nostri figli Marta, Lucia e Paolo alle otto del mattino eravamo belli e pronti e ci siamo presentati in ambulatorio.

Le persone erano già molte e dopo un iniziale “confusione”, grazie all’aiuto di due validissime segretarie del luogo abbiamo iniziato le visite. In considrazone del grande numero di persone si è deciso di prenotare 6 pazienti per ora, per quatro ore al mattino e quatto ore al pomeriggio; poi se ne vengono di più o qualche urgenza di certo non vengono mandate via.

In poco tempo l’agenda si è riempita fino a tutto giovedì mattina.

I ragazi sono stati molto bravi e di grande aiuto; loro si occupavano inizialmente di far leggere la persone e di fare il cosidetto esame all’autorefrattometro (uno degli strmenti nuovi dell’ambulatorio che permette un verifica automatica della vista della persona).

Dopo questa valutazione i pazienti venivano avviati a me o da Massimo per una iniziale previsita, durante la quale in paticolare si valuta la pressione oculare dopodichè i ragazzi, su nostra indicazione, mettevano le gocce per la dialatazione della pupilla. Il paziente aspettava 30 minuti (a volte anche piu..!!!) nella sala d’aspetto, quindi terminavamo la visita per poi spiegare se e quale problema aveva la persona, quale cura e la eventuale necessità di occhiali. Per questi abbiamo a disposizione un bel mucchio di occhiali usati donati a Genova da molte persone. Li avevamo catalogati le sere precedenti.

In questa fase di grande utilità è stata in particolare la Marta grazie al fatto che parlando spagnolo ci faceva da tramite con i pazienti, cosi come Suora Blessila della Farmacia.

Ora si riprende per l’ambulatorio del pomeriggio con la particolarità importante che ci sarà anche la Dottoressa Álida, che sarà poi colei che continuerà il lavoro tutte le settimane avvenire. Sarà importante la collaborazione tra noi due e Lei per arrivare a determnare le migliori modalità di lavoro e determinare anche quali sono le altre necessità per l’ambulatorio. Domani vi saprò dire.

Oggi Domenica abbiamo partecipato alla messa comunitaria, alle ore 7.00 del mattino. Si, proprio le 7.00 del mattino, in quanto qui in Santo Domingo la giornata comincia presto.

Ed è stata subito una gioia grande. Per diversi motivi.

  • Prima di tutto per l’incontro con il Signore. È proprio vero che, in qualunque parte del mondo e qualunque lingua si parli, la celebrazione eucaristica ci fa gustare l’incontro con il Signore e ci fa sentire in un qualche modo a casa.
  • La seconda annotazione è l’incontro con la comunità. Mi meraviglia, ogni volta che vengo in Guaricano, – è la terza volta ormai – il senso di comunità parrocchiale che si riesce a cogliere guardando come la gente partecipa e vive il mistero della chiesa. È una festa grande di gente che si incontra e si vuole bene ed esprime in maniera corporale questi suoi sentimenti.
  • Il terzo motivo è l’incontro con la gente. Che emozione nel sentirti accolto e in un qualche modo a casa. Tanti benvenuto e benedizioni e strette di mano e soprattutto abbracci, perché questo è il modo più caloroso con cui ci hanno accolto. E ci è “toccato” presentarci, tutti, mamma, papà, zia, i due oculisti e i loro tre figli, in un’attenzione veramente grande da parte della gente.
  • Non ultimo la vivacità e l’allegria della messa. In una partecipazione veramente corale, nell’ascolto della parola, nei canti sempre allegri e animati, nella preghiera che sgorga dal cuore, nell’accostarsi alla mensa eucaristica, nella preghiera per comunià ecclesiale genovese. Quanto avremmo da imparare per poter rendere più umane le nostre celebrazioni eucaristiche e la nostra partecipazione alla vita parrocchiale.

Oggi, domenica, in occasione della Santa Messa io e le mie figlie Marta e Lucia siamo stati presentati alla comunità parrocchiale della Divina Misericordia.

Così anche questa mattina sveglia di buon ora (qui fa caldo, la giornata è meglio cominciarla dalle ore più fresche) per partire alle 6,20 destinazione parrocchia della Divina Misericordia. Arrivati là, come al solito ci siamo stupiti della partecipazione della gente così di buon ora in una chiesa tutta da inventare (di fatto una costruzione precaria allestita in modo assolunamente dignitoso tale da poter ospitare quante più persone possibli). E in realta le persone erano veramente tante (circa 400) che senza problemi accettavano il disagio di stare in piedi o su scomede panche tutti accalcati ma pronti a dare gloria al Signore con canti festosi e preghiere partecipate.

Alla fine della Messa, prima della benedizione finale, don Lorenzo che ha officiato la Messa mi ha presentato alla comunità per spiegare perché siamo venuti, dire chi ero e cosa faccio nella vita, parlare della mia famiglia e del nostro impegno-partecipazione alle attività parrocchiali.

In realtà la sera prima con l’aiuto di mia figlia Marta che parla lo spagnolo avevamo preparato un piccolo discorso di 2 minuti che poi ho letto dall’altare (e pare che mi abbiano anche capito !!!!). A mia volta ho presentato le mie figlie Marta e Lucia e ho parlato dell’ambulatorio di oculistica che da domani lunedì 31 ottobre, sarà a disposizione della popolazione locale.

Come al solito (peraltro non ci si abitua mai a tanta disponbilità e gentilezza ) siamo stati accolti da un applauso e da manifestazioni di gratitudine da parte della gente.

Ieri mattina di buon ora siamo partiti tutti insieme dalla casa della missione per recarci alla parrocchia dove ci siamo riuniti asieme ai porrocchiani di don Paolo per recarci nella sede dove veniva svolta la chisura dell’anno Eucaristico. Tanti bus e tante persone tutti festanti e ansiosi di partecipare.

Arrivati sul luogo il primo impatto è stato molto bello perchè ci siamo ritrovati in mezzo ad una vera moltitudine di persone (circa 10.000) già in piena atmosfera di preghiera che cantavano per prepararsi alla giornata.

La giornata era divisa in due parti: la prima prevedeva l’adorazione Eucaristica mentre la seconda prevedeva la Santa Messa.

Quello che però vi volglio raccontare è come ho vissuto io la giornata. Armato di macchina fotografica e cinepresa sono andato in giro pe riprendere tutto ciò che ritenevo rappresentare i momenti più belli e significativi della giornata stessa. Volti di singoli fedeli o dei gruppi, dei sacerdoti o delle religiose, delle personalità o di coloro che lavoravano per la giornata, tutti lì per lo stesso motivo: l’adorazione del mistero dell’Eucaristia.

È difficile poter comunicare quello che ho visto e ho vissuto proprio per la dimensione e il modo diverso di vivere questi momenti da parte di questa popolazione della Repubblica Dominica. Fondamentalmente la gioa, la consapevolezza di vivere e di essere partecipi di un momento particolare di preghiera e soprattutto il desiderio di comunicarlo agli altri nel modo più festoso.

In barba al servizio d’ordine passavo da un settore all’altro tra la folla e fin sopra all’altare e ciò mi ha permesso di scattare tanta fotografie che nei prossimi giorni inserirò nel diaro per cercare di fare partecipe oltre che con le parole anche con le immagini anche a coloro che non c’erano quello che ho potuto vedere e vivere ieri mattina.

Sono Francesco, il fratello di don Paolo e sono qui a S. Domingo assieme ai miei genitori e alla zia.

Sono ormai passati due giorni completi della nostra esperienza e ci sembra di essere già a casa.

Ci sorprende l’accoglienza, l’amicizia, il calore che le persone della comunità parrocchiale hanno nei nostri confronti. Sempre un sorriso, una buona parola, un abbraccio caloroso, con l’ottimismo di chi prende la vita per il verso giusto nonostante la povertà e le difficoltà.

È un po’ come se la fede diventasse vita vissuta che traspare da ogni incontro. Per contro, il malessere di queste persone è quello di non far diventare morali le scelte che hanno fatto con il cuore. In poche parole, la famiglia e la famiglia regolare sono una fatica grande, concausa anche la grossa povertà.

L’esperienza è sicuramente positiva e coinvolgente, anche se i ritmi che ci vengono dati sono intensi e a volte la stanchezza affiora.

Papà e mamma oggi sono riusciti a conquistare i parrocchiani.

Oggi pomeriggio abbiamo fatto un incontro fraterno in cui loro hanno parlato della nostra vita di famiglia, del loro fidanzamento, di come hanno avuto i loro figli, di come hanno preso la notizia delle due entrate in seminario, ecc.

La gente ha ascoltato con molta attenzione (erano presenti un centinaio di persone), e alla fine hanno fatto un po’ di domande.

I miei hanno parlato in maniera molto semplice, e lasciando trasparire la fede con cui hanno vissuto sempre e continuano a vivere. E questo è quello che è arrivato al cuore della gente più di tutto il resto.

Oggi 9.30 abbiamo partecipato alla messa dei giovani, dove partecipano soprattutto bambini e giovani – anche se si sono visti parecchi adulti.

La prima nota è stata quella dell’allegria. Una festa di gioia per aver incontrato il Signore e per essersi incontrati come comunità. Ma poi anche una festa per la possibilità di esprimere in modo corporale questa allegria. Nel canto, nei movimenti accennati di danza, nel battimano a tempo di musica, negli strumenti musicali (chitarra amplificata e batteria). Guardando i volti della gente e sentendo le loro parole, traspare che quella gioia viene dal cuore e tocca in qualche modo la vita.

Alla fine della messa, la nostra presentazione ai giovani della comunità: mamma e papà con la loro testimonianza di famiglia, io e i figli degli oculisti con la testimonianza della nostra vita e del nostro servizio in parrocchia, gli oculisti con la testimonianza del loro lavoro e delle loro famiglie. È stato proprio bello perché c’è stata una attenzione da parte di tutti. E poi i due oculisti hanno invitato a venire all’ambulatorio per una visita oculistica durante la settimana.

Alla fine della messa abbracci e saluti con tutti.

Stamattina abbiamo vissuto la chiusura dell’Anno Eucaristico insieme a tutte le diocesi del paese.

Lo scenario è stato il Faro a Colón (Colombo), il mausoleo dove i dominicani sostengono di avere le ossa dell’illustre genovese. È una gran costruzione a forma di croce, che insieme ai resti di Colombo ospita un museo con reperti (la maggior parte in copia) di tutte le parti del mondo. Attorno alla costruzione c’è un immenso parco, che si è popolato con circa dieci/ventimila persone.

Ogni diocesi aveva assegnato un colore, rosso per Santo Domingo. Era il colore prevalente, e si capisce perché.

Della nostra parrocchia sono venute circa 250 persone, attratte anche dal fatto che abbiamo tenuto volutamente il costo a un livello molto basso per cercare di aiutare tutti a partecipare. La parrocchia ha dovuto integrare con una somma quasi pari a quello che ha dato la gente. Un mese fa, quando dovevamo decidere la cosa, ero un po’ indeciso, dal momento che la parrocchia aveva 300,000 pesos (oggi saliti a 400,000, quasi 10,000 euro) di debiti. Alla fine mi sono lanciato, facendo l’atto di fede che la cosa era del Signore, non mia, e che se era lui a chiedermelo lui si sarebbe incaricato di far entrare questi soldi.

Sono venuti anche i miei e gli oculisti con i figli.

Il tempo è stato bizzarro. Quattro volte se messo a piovere, l’ultima è stata durante la distribuzione della comunione. Fortunatamente la gente aveva l’ombrello, con cui si è riparata alternativamente dal sole e dall’acqua.

Mons. de la Rosa, arcivescovo di Santiago de lo Caballeros, ha fatto l’omelia spiegando la messa, in uno stile immediato e al tempo stesso profondo. Non ha fatto rimpiangere le omelie del cardinal López Rodríguez.

Sono arrivato al Guaricano due giorni fa cono le mie due figlie maggiori Marta e Lucia e il mio collega – amico Massimo Corazza e suo figlio maggiore Paolo.

Il giorno dopo ci siamo messi a lavorare per installare l’ambulatorio di oculistica; per fortuna tutto è andato bene tutto e tutto è funzionanate. Abbiamo organizzato l’ambulatorio su due stanze in modo tale da poter visitare in contemporanea io e Massimo e sfruttare al meglio le giornate.

Il pomeriggio ci siamo dedicati allo smistamento delle medicine, sia quelle che erano già arrivate con il container assieme agli strumenti, sia quelle che abbiamo portato dall’Italia dirattemente nelle valigie (eravamo in 5 e abbiamo portato con noi 9 valigie pesantissime tutte cariche di medicine e altre cose utili!!!!).

Tutto questo non nasce dal caso ma dalla collaborazione di tanti che hanno lavorato nell’ombra: Stefano S. che ha di fatto regalato l’apparecchiatura, Alessandro F. che si è preoccupato della spedizione, Santo M. che ha collaborato nella preparazione degli strumenti.

Adesso siamo pronti: nelle messa domenicale verrà avvisata la popolazione locale della possibilità di avere la visita oculistica. Ci auguriamo di poter visitare tanti bambini anche in età prescolare per poter soprattutto fare prevenzione sui difetti della vista così importanti a questa età.

Lasceremo tutto questo in mano ad una dottoressa locale di nome Alida, che abbiamo avuto il piacere di conoscere ieri e che già nella settimana prossima verrà a lavorare qualche ora con noi e prendere pratica delle apparechiature.

Ieri sera siamo stati tutti alla cena benefica del Seminario Minore.

Punto dolente: come anche gli anni scorsi arriviamo tardi, finiamo in qualche tavolino ai lati, e alla fine quasi non ci arriva la cena. Di fatto poi i miei e anche gli amici oculisti + figli non hanno apprezzato la cucina dominicana. Ma sembra che neanche molti dominicani, a giudicare dai piatti rimasti mezzi pieni in tavola.

Comunque la serata è stata bella, con musica allegra e anche qualche balletto.

Per me è sempre un’occasione bella: per stare al fianco dei nostri seminaristi (sono sei!) e anche per rivedere persone che non vedo tutti i giorni.

Tra le altre cose ho potuto parlare con Pelegrín Castillo, che è un deputato (sembra) cattolico, al quale ho fatto presente un’invito che gli abbiamo fatto a partecipare a un’attività organizzata dai giovani sul tema dell’aborto. Mi ha detto che parteciparà di sicuro! Vedremo.

C’è stato qualche problema con i mezzi di trasporto: per andare in là abbiamo stentato a trovare, chiedevano tutti troppo. E per tornare indietro ancora di più, ma per il motivo che dal centro della città nessuno si sente di andare al Guaricano di notte. È che il Guaricano ha una fama un po’ brutta…

Con mio fratello Francesco siamo andati a comprare i pezzi per il server del laboratorio di informatica.

Visto che deve reggere 40 terminali abbiamo comprato il non plus ultra, e ce la siamo cavata con 44,000 pesos (circa 1,200 euro), compresi due switch da 4,000 pesos ognuno.

In definitiva il computerone Pentium 4 Intel con 2 GB di ram e HD da 120 GB ci è costato meno di 1,000 euro!

Potenza del fatto che qui le parti di computer non pagano tasse.

Oggi pomeriggio sono arrivati Massimo Corazza e Carlo Mosci.

A partire da domani monteranno le apparecchiature per la visita oculistica e addestreranno un’oculista dominicana.

L’idea è di fare l’addestramento con campioni reali di popolazione, sostanzialmente con i bambini della scuola.

Carlo è accompagnato da due figlie, Lucia e Marta, e Massimo è venuto con suo figlio Paolo, mio omonimo.

Soprattutto le due ragazze sono arrivate abbastanza fuse del viaggio, ma sono sicuro che domani staranno meglio!

10:36 pm

Arrivati i miei

Sono appena arrivati i miei. Abbastanza stanchi, visto che sono in piedi da 24 ore.

Scommetto che domani mattina sono in piedi per l’ora di andare a Messa.

Oggi finalmente si è realizzata la giornata insieme a Suor Serafina ed è stata veramente splendida!

Stamattina sono andata a prenderla a Genova per portarla a Pegli nella mia Parrocchia alla Messa delle 10 (quella dei bambini che ci aspettavano numerosi). Durante il tragitto la suora non ha mai smesso di sorridere, era come catturata da tutto quello che vedeva: il mare avvicinarsi all’orizzonte, le case tutte attaccate del centro storico con i suoi vicoli e poi sulla sopraelevata quando si vede il Porto Antico c’è scappato un WOW che mi è preso un colpo!

In Parrocchia c’era Don Mario ad aspettarci e dopo le dovute presentazioni ci siamo messi subito al lavoro per praparare una predica adatta alla “Giornata mondiale delle missioni”. Intanto la Suora è una grande perché si era già preparata un discorso da leggere ai parrocchiani sulla missione di Santo Domingo e in particolare sul ruolo da lei svolto al centro nutrizionale; l’abbiamo corretto insieme (dice di non sapere l’italiano, ma vi assicuro che il suo linguaggio era davvero appropriato) e dopo è cominciata la Messa.

Quando è venuto il momento della predica Don Mario l’ha cominciata prendendo spunto da un orsetto di gommapiuma che mi aveva regalato un ragazzino del liceo e che ho portato proprio per mostrare come sono diversi i giocattoli di Guaricano dai nostri… l’effetto è stato quello che volevo e i bambini l’hanno osservato con attenzione, pensando forse che una cosa può esser bella anche nella sua semplicità.

Poi è arrivato il momento di Suor Serafina, dedicato soprattutto agli adulti. Mentre la suora leggeva, i loro sguardi non si sono mai distolti da lei e regnava un silenzio davvero d’eccezione. Penso che sia stata una bella testimonianza e averla condivisa assieme alla mia gente mi ha fatto sentire parte di un’unica grande famiglia. Credo che questa sensazione sia stata recepita anche da coloro che al termine della Celebrazione sono venuti a salutare Suor Serafina e a volerne sapere di più sulla missione. Volevo anche dire che erano mesi che aspettavo di poter scambiare un abbraccio con la suora al segno di pace e così è stato!

Dopo la Messa io e la suora siamo state nelle aule del catechismo a mostrare le foto del barrio e a rispondere alle numerose domande sorte: ammetto che non mi aspettavo un entusiasmo così da parte proprio dei ragazzi…

A mezzogiorno già mi sembrava pomeriggio inoltrato dall’intensità con la quale avevamo vissuto solo la mattinata! Per fortuna ci aspettava a casa un pranzetto molto genovese, durante il quale la suora ha scoperto l’esistenza dei PINOLI (ne ha trovato un pezzetto nel pesto, ma non sapeva esistessero!).

Dopopranzo le ho fatto un riassunto di tutto il diario della missione che si è persa e tornando verso casa, abbiamo visitato il Porto Antico che tanto le piaceva, un po dei vicoli, Piazza De Ferrari e San Lorenzo. Alla fine eravamo stanchine ma contentissime… e mi viene da concludere citando don Paolo:

“Grazie Signore, grazie di cuore!”

11:05 pm

Sbobinando (32)

Faccio una foto: giovane donna con bambini, due tre quattro cinque sei sette otto, tutti pulitissimi; ne arrivano altri, scatto ancora. Altro scatto, gruppo di famiglia in un esterno, baracca graziosa in un posto qualunque del barrio, ai margini di un acciottolato faticoso da percorrere.

Altra baracca, una giovane donna mi dice qualcosa: le sorrido, “no he comprendido”, sorride anche lei. In braccio ha una bambina biondissima, i capelli a boccoli le cadono sulle spalle. “Qui c’è passato un bastardo”, mi dice Fiammetta: il dono della sintesi è uno dei pregi della gioventù.

Le indico un giocattolo fatto con una bottiglia di latte a cui sono state messe le ruote. Le si illumina lo sguardo. Passiamo oltre. Uno sguardo pieno di luce: un altro pregio della gioventù. Eccone un altro: gli occhi incredibilmente verdi di una giovane mamma, due bambini e un terzo già a buon punto.

Sto per dire che non vedo uomini quando spunta un cappello bianco con le tese ricurve: “¿Dónde están los hombres?”. “Están trabajando”. Forse è vero. Speriamo sia vero. Lo so, sono un po’ prevenuto.

Faccio capolino in una baracca. Soggettiva sulla miseria. Interno della camera da letto: a destra un lettino con le lenzuola arrotolate e dimenticate, a sinistra un letto a castello, sul letto in alto c’è di tutto; la cucina è un disastro.

Suor Serafina e Orietta entrano a portare qualche medicina. Spunta un uomo di mezza età, sembra infilato a forza nella sua sedia a rotelle. Serafina gli misura la pressione, Benny e Fiammetta regalano fermacapelli alle bambine, una ha un’incredibile testa di capelli e si presenta quando elastici e fermagli sono finiti, quasi si mette a piangere, poi spunta un cerchietto e anche i suoi occhi si riempiono di luce.

Mi cade l’occhio sugli enormi piedi dell’uomo infilato nella sedia a rotelle. Serafina finisce di misurargli la pressione. Una delle bambine gli fa una carezza. Martina una volta mi disse: “Papà, tu non sarai mai vecchio”. È bello avere una figlia.

10:52 pm

Sbobinando (31)

Ripassiamo davanti a Betania, dove le comunità di base stanno vivendo un pomeriggio di preghiera: è un bel gruppo, rivedo uomini e donne già notati per intensità di partecipazione all’inaugurazione della nuova cappella, è bella e intensa anche la preghiera.

Fuori dalla chiesa rivedo una vecchia che ho fotografato al mattino, mentre preparava il banchetto sul quale espone le sue piccole mercanzìe: un thermos di non so cosa, pochi sacchetti di caramelle, un paio di confezioni di biscotti, qualche banana in condizioni così così.

Impensabile dalle nostre parti, ma una volta di più mi chiedo se questa miseria non sia più umana della nostra civiltà: che ne sarebbe di questa povera vecchia se non potesse provare a vendere qualcosa?

Ripenso a lei più avanti, quando il giro di visite di suor Serafina ci porta dal ragazzo con la testa enorme.

Ho parlato di lui nel primo intervento fatto sul blog di don Paolo, il mio scritto di presentazione messo in rete direttamente dallo studio della missione; ne ho riparlato nell’articolo scritto per MissioGenova, la rivista curata da don Francesco.

L’ho visto entrando nella casa dipinta di rosso, superando la porta marroncina con la parte bassa rinforzata da una lamiera verde marcio: la casa rossa chiude il vicolo d’accesso, con il viottolo che si sdoppia sui due lati; insomma, ci si va a sbattere contro.

Il ragazzo è infermo dalla nascita: ammesso che si potesse fare qualcosa, l’assoluta povertà dei genitori (ma conoscerò solo la madre) ha cancellato ogni speranza alla radice.

Così il collo e la testa sono le uniche parti del corpo che si siano sviluppate normalmente, sembrano un pezzo unico sparato dal tronco verso l’alto; le braccia sono sottili e lunghissime, ripiegano davanti al ventre e finiscono in mani grandi, appoggiate sui piedi senza forma, premuti l’uno contro l’altro: nella mano destra tiene qualcosa, forse un giocattolo, la sinistra è chiusa a pugno.

È seduto su una sedie di plastica arancione, impilata su una sedia dello stesso tipo, azzurra; accanto a lui, sulla sedia rosa accanto, una bambina con due grandi fiocchi rosa legati ai capelli; di fronte, la sedia a rotelle con imbottitura nera su telaio rosso fiammante.

Lo sguardo è intenso, attento; sulla bocca grande e carnosa un accenno di baffo, sul viso, un accenno di sorriso: non so se è vero o se lo vedo solo io, forse perché penso che da noi sarebbe sepolto in un istituto, proprio come la vecchietta sarebbe sepolta, dimenticata?, in una casa di riposo.

9:22 pm

Sbobinando (30)

Dalle lezioni di informatica alle lezioni di vita: la scuola è il barrio, le aule sono gli squarci che ci si aprono davanti.

Camera stretta su un paio di scarpe appese, ormai sapete di che cosa si tratti: gioventù buttata via; ecco il contrappunto: bambini che fanno il bagnetto nella vasca davanti all’ingresso della missione, ne abbiamo visti e ne vedremo a ogni passaggio.

Sono le 4 del pomeriggio e fa un caldo incredibile; seguiamo suor Serafina e Orietta, con Fiammetta e Benedetta catechizzate da don Francesco: si va a portare aiuti e medicine a poveri e malati del barrio.

La strada è una pietraia che fa male ai piedi. Si arrampica una piccola autobotte di acqua potabile. Un grande portone di ferro spalanca la vista su una distesa di batterie esauste, non ne ho mai viste così tante. Chiedo all’operaio che cosa ne facciano: “Le ripariamo”, mi risponde con un sorriso largo. Non sapevo si potesse.

Suor Serafina saluta una vecchia che stava dormendo davanti casa: le fa festa e la invita a entrare, ne escono quasi subito in quattro, c’è anche una ragazza dal passo malfermo, sostenuta dal padre.

La ragazza non credo abbia 18 anni, ha un colorito terribile, un olivastro tendente al grigio; faccia da india, piccolina, indossa una canottiera azzurra, entrambe le spalline sottili passano su grandi cerotti imbottiti: è lì che le attaccano le macchine per la dialisi.

Ogni passo le costa fatica, ogni gesto la costringe a una sofferenza vanamente dissimulata dal sorriso. Eh già, sorride. È contenta della visita. Sono contenti anche i suoi genitori: suor Serafina consegna un po’ di medicine, Fiammetta fa una carezza al fratellino e prova a dargli un cagnolino di peluche, ma lui non lo vuole.

Mi guardo intorno: la casa è tristissima, il mazzo di rose di plastica che vorrebbe ingentilire il tavolo produce un contrasto che sa di desolazione totale.

Finiamo di consegnare le medicine e andiamo via.

10:46 pm

Sbobinando (29)

(Scusate l’assenza, causata da insopportabili quanto ineludibili necessità di lavoro: incombe il Salone Nautico).

Riprendo a sbobinare dalle lezioni di computer, che si tengono in un locale di fronte alla scuola.

La stanza è piccola (quattro per sei, più o meno), un grande ventilatore sul soffitto aiuta la decina di aspiranti informatici e l’insegnante, che come spesso accade quando si tratta di computer è assai più giovane dei suoi allievi.

Angelo è un magrolino dall’aria energica, sul metro e sessantacinque, poco più che ventenne, un filo di pizzetto, l’espressione molto sveglia, ha una bella maglietta rossa e un berretto con visiera; i computer lavorano in ambiente Linux, politica di don Paolo, che è orgoglioso di aver abbandonato Windows per risparmiare sui costi e guadagnare in praticità.

Il corso di informatica fa parte dell’insegnamento che si dà ai ragazzi durante l’anno; agli adulti si offre la possibilità di fare un corso più breve, un paio di mesi: bastano, dice Angelo, per consentire a chiunque si trovasse davanti a un computer di sapere quel che deve fare.

Mi viene in mente don Milani e la sua pedagogia così ancorata ai bisogni elementari: cultura è prima di tutto (per esempio) sapersela cavare in un ufficio postale. Dice Angelo: “I ragazzi vengono qui per giocare, ma le persone da 30 anni in su vengono perché sanno che nel 21mo secolo non si può fare a meno dell’informatica”.

E poi c’è un terzo gruppo, le donne che “vengono perché non costa niente e possono dare un esempio ai figli, al marito”.

Dare l’esempio: non sembra anche a voi che il concetto di esempio contenga l’idea della speranza?

Questo è il titolo di una canzone di Eros Ramazzotti che dopo stamattina mi è tornata in mente…

Ore 10.30 – Parrocchia di S. Antonio di Pegli – Messa dei bambini: don Mario è come al solito in mezzo a noi ragazzi per la predica, quando con mia sorpresa mi cede il microfono chiedendomi di parlare della Messa e di come viene vissuta dagli abitanti del Guaricano a Santo Domingo. E con altrettanta mia enorme sorpresa trovo in poco tempo le parole per poter raccontare del clima che si respira in Guaricano durante una celebrazione, dell’emozione enorme provata vedendo la Chiesa sempre piena di gente entusiasta e sorridente a tutte le ore.

Credo di essere entrata nel cuore dei presenti e mi sa che lo zampino del Signore qua c’è tutto, lo devo ringraziare perchè oggi mi sono sentita un suo strumento e ho portato testimonianza dell’esperienza fatta alla mia gente… è stato bellissimo!

Ah, la canzone fa così:

…Ho in tasca una piccola pietra io, per costruire pace dove non c’è…
io la porterò dove mi porterà questa speranza dentro che non mi abbandona mai,
io la porterò con tutto il peso che ha, piccola pietra, che forse un giorno si poserà!

La sensazione che ho avuto oggi è quella di aver lasciato nel cuore dei miei parrocchiani un segno della missione, di aver posato un sassolino nelle loro case.

Buona domenica a tutti, non potrebbe essere diversamente visto le belle foto che ci mostra don Paolo sotto!

Come vi avevo anticipato ho tenuto i contatti con Suor Serafina che vi saluta sempre e che tra una risata e l’altra ha portato a termine la missione dei pacchi.

A parte che detta così sembra la trasmissione di Bonolis, la verità è che ieri sono partiti da Genova per il Guaricano cinque grossi scatoloni di vestiario da bambini e poi se non ho capito male anche una pianola elettrica o qualcosa del genere (la suora si ostinava a chiamarmelo “organo”, ma io dubito fortemente si possa trattare di quello!) : io a sentire la suora così contenta mi sono emozionata e le ho promesso un articolo sul diario.

P.S.: Incarico don Paolo di farmi sapere quando arrivano se si tratta di una pianola o altro… così vedo se tra l’inglese, lo spagnolo e l’italiano ho capito giusto!!!

Stamattina abbiamo celebrato santa Virginia nella Messa che si celebra tutti i lunedì nel dispensario medico.

Le suore hanno preparato un altare bellissimo, con fiori ben curati e tovaglia dorata.

Il sottoscritto ha presieduto la celebrazione, accompagnato da Marcial e da tre chierichetti.

La festa ci fa sentire la presenza di tanti fratelli genovesi, e più ancora quest’anno al pensare che il giorno 22 in casa madre si sono ritrovate parecchie persone legate alla missione: Paola, Fiammetta, Lara, Sandra, Orietta, Carmen, suor Serafina, suor Daniela. Loro là, noi qua, uniti nella venerazione di questa grande santa della carità della Genova del XVII secolo.

Le nostre suore, con la loro operosità spesso silenziosa, ci fanno sentire presente santa Virginia in mezzo a noi.

Se ancora non l’avete fatto guardate la nostra foto qualche articolo più in basso…

Fatto? Eh sì, finalmente ho conosciuto Fiammetta e ho rivisto Suor Serafina, che bel trio, non vi pare?

Siamo state ieri alla festa in onore di Santa Virginia Centurione Bracelli dalle Suore Brignoline, è stato proprio un bel pomeriggio. La Messa celebrata dal Vescovo ha visto anche la consacrazione di Suor Elisa, una ragazza che Suor Serafina mi aveva presentato qualche giorno prima al convento e che devo dire non mi aspettavo avrebbe preso i voti di lì a poco; non avevo mai assistito a nessuna consacrazione e devo dire che è stato un momento bello che non mi dimenticherò. E mi sono rimaste impresse le parole della predica sul fatto che esser santi significa “fare della propria esistenza un dono d’amore per gli altri”: per dire una cosa così mi ci sarebbe voluto un mese, per farla chissà se basterà una vita…

Al termine della Messa Suor Serafina ci ha fatto conoscere la Madre Generale alla quale abbiamo chiesto il permesso per poter trascorrere con Serafina qualche pomeriggio fuori e anche se la vedo dura dovremmo averla convinta (spero, anche perchè mi piacerebbe farle conoscere i ragazzi della mia Parrocchia che tanto si son dati da fare per la missione e poi ci sono i bambini del catechismo,… la sua testimonianza sarebbe molto importante!). Infine ho conosciuto anche Carmen, Sandra, Orietta,Paola e spero di averle ricordate tutte perchè c’era una tale confusione e risate che alla fine non avevo le idee molto chiare sui nomi. Per me pensare che avevo vicino persone appena tornate da Santo Domingo è stato un ulteriore incitamento a ritornarci prima o poi visto che mi manca tantissimo.

E poi è successa un’altra cosa significativa: mentre eravamo lì hanno chiamato dalla missione le suore! Così io e Fiammetta abbiamo potuto parlare direttamente con loro: Suor Cristina come al solito mi ha comunicato il sole che ha dentro anche se non la vedevo e Suor Modesta (alla quale dedico un pensiero particolare perchè sa sempre cosa dirmi per tirarmi sù…) mi ha detto che i ragazzi del liceo le chiedono sempre di me! Alla fine ogni volta che le sento ricevo sempre dei doni così grandi…

In settimana dovrebbe partire la spedizione dei famosi pacchi, Suor Serafina mi farà sapere, io intanto mi organizzo con le varie attività della parrocchia in vista di incontrarla di nuovo. Un abbraccio dal trio!!!

7:44 pm

Sbobinando (27)

Il dubbio è di quelli più atroci: Cristoforo Colombo l’Ammiraglio, oppure Cristoforo Colombo l’Emigrante, il primo italiano della storia? E poi: il primo? E Marco Polo da Venezia? E Andalò di Savignone, che fece dopo di lui la stessa strada?

Niente paura, è che ho scoperto di potermi concedere un giorno di festa. Meglio: ho scoperto che c’è un festivo del quale non avevo mai sentito parlare: il 5 dicembre a Santo Domingo si festeggia l’immigrato italiano in Repubblica Dominicana; la festività è stata istituita nel 2004.

Il motivo va cercato nella storia: la data famosa è il 12 ottobre 1492, ma c’è, diciamo, un sotto-evento, datato appunto 5 dicembre 1492, quando Cristobal approdò davanti a un posto bellissimo, nel Nord, poco lontano da Puerto Plata, e gli parve adatto a celebrare la sua grande protettrice, la regina Isabela.

Il posto venne chiamato “La Isabela”; nonostante i saccheggi del periodo diattatoriale, c’è ancora qualcosa che ricorda Cristobal e la sua regina.

Anche questa storia me l’ha raccontata Aldo Burzatta.

7:41 pm

Sbobinando (26)

Martedì 26.07.05

Segretariato della comunità italiana di Santo Domingo, ufficio di Aldo Burzatta, faccia e fisico da ragazzone vitaminizzato. Capelli castani corti pettinati da un lato, fronte ampia e intonazione ottimistica nella voce; gesticola con sicurezza e sottolinea i concetti con una grande mobilità degli occhi e della bocca. Si vede che è abituato a trattare con la gente.

Siamo nella palazzina di fronte all’Ambasciata d’Italia, il posto sa di lavoro da vice-ambasciata: rapporti commerciali, pratiche di emigrazione e cose di questo genere.

Lo studio di Burzatta è piccolo: poltrona, scrivania con ampie bordature color radica, due poltroncine, un divanetto; alle pareti diplomi e fotografie, ma anche quadri con grandi disegni precolombiani in rilievo, un grande specchio divide la scrivania dalla finestra, una grande bandiera dominicana incrocia una grande bandiera italiana.

Dice il segretario: “Gli italiani qui fanno cose bellissime cose. Per esempio abbiamo l’accademia della cucina, l’associazione sommelier che questo ottobre ospiterà il congresso nazionale, sarà il primo svolto fuori dall’Italia. Il made in Italy qui è rappresentato al cento per cento, dal turismo alla cultura”.

Gli chiedo: in che rapporti siete con i missionari? Risponde: “Abbiamo ottimi contatti, ma ancora limitati, li abbiamo conosciuti tardi, vogliamo recuperare, far conoscere le attività delle missioni, come quella di Genova in Guaricano”.

Ancora: qual è l’atteggiamento delle autorità locali? “Le istituzioni locali appoggiano moltissimo queste associazioni volontarie, concedendo permessi, facilitando l’importazione di aiuti. Certo, loro non possono fare molto perché il bilancio del Paese non lo permette”.

Insomma si lasciano aiutare. Il simpatico ed efficiente Burzatta valorizza la generosità degli italiani di qui: i proprietari della storica pizzeria Vesuvio che a Natale “svuotano il ristorante e danno da mangiare ai bambini di strada”, oppure un bolognese che a Las Terrenas sta cercando di avviare “un corso di italiano per i bimbi italo-dominicani tramite la collaborazione con il Comune di Castel San Pietro che ha mandato insegnanti e tantissimo materiale”.

Non è proprio così, ma lo scopriremo più avanti.


Lara e Fiammetta con suor Serafina

Ohhhh… ecco… quanto tempo…

Indovinate un po’? Oggi… si è formato un trietto super…
1: LARA
2: SUOR SERAFINA
3: FIAMMETTA

Dunque: ho rivisto Serafina!!! E… ho conosciuto Lara!

Oggi c’è stata una festa per la madre fondatrice delle Suore Brignoline (si dice così?) nel convento a Marassi… Messa col cardinale (un’ora e mezza in piedi…) e poi rinfresco.

Ma a parte questo indovinate chi c’era oltre a noi tre? Carmen, Sandra, Orietta, la sorella di Carmen, la mamma di Lara, e Paola…. Mi ha fatto un certo effetto rivedere tutti insieme a Genova…

Serafina ci ha accolto sorridente (e ubriaca) come al solito (ovviamente scherzo con l’”ubriaca”)… Che strano vederla col vestito nero, velo tutto a posto senza neanche un capello fuori ecc…

Ci ha presentato la madre generale (che inspiegabilmente mi conosceva di nome… ?? … anzi lo so il perché ma tralasciamo…) e con Lara abbiamo cercato di strapparle un’uscita con Serafina.

Piccolo riassunto:

  • Sandra è arrivata in chiesa urlando che doveva confessarsi (ma era troppo tardi) e poi per penitenza si è seduta sotto un santo (scusate l’ignoranza ma non mi ricordo il nome) con una lancia puntata sulla sua testa… che ridere…
  • Poi ci ha raccontato di una urlata di Francesco per uno dei suoi (abituali) ritardi… altre risate …
  • La madre generale ci ha conosciuto uno per uno… (la sequenza Sandra – suor Daniela non è casuale. Chi ha orecchie per intendere…)
  • Carmen subito non l’ho riconosciuta perché i capelli erano più rossi del solito… Poi però quando si è appesa alla mia trippa prendendomi in giro ho capito subito…
  • Orietta si è informata di quando ci vedremo con Tarcisio e Tito (di nuovo “chi ha orecchi… intenda”…). E con Carmen giù a ridere di nuovo…
  • Lara si è dovuta sorbire un’ora e mezza di messa in piedi spiaccicata dietro una signora diciamo non magrissima…

Insomma è stato un pomeriggio di grandi risate di gruppo… Alla fine ero felicissima… Mi sono divertita molto e ho finalmente rivisto Serafina che con le sue risate di gusto e contagianti mi ha caricato tantissimo e mi ha risvegliato dal mio letargo (iniziato con l’inizio della scuola…)

C’era un atmosfera bellissima…

Ora però mi si stanno incrociando gli occhi… quindi… che dire…: Blessilla, Cristina, Lorenzo, Paolo, Francesco, suor Modesta (anche se non ti conosco)… vi aspettiamo con ansia!

Lo stesso vale per Willy, Heriberto, Elvis e gli altri ragazzi che prima o poi verranno a Roma…

A presto!

9:41 pm

Sbobinando (25)

Ancora Boca Chica, le ultime dalla spiaggia.

Una cesta di aragoste spettacolari, rosse come non le avevo mai viste. Mio suocero Achille me ne parlava sempre raccontandomi dei suoi viaggi nei Caraibi e dei pesci straordinari che vedeva pescare e vendere per quattro soldi. Lui le cucinava alla grande, quando ne parlava gli brillavano gli occhi. Ora che le vedo capisco.

Niente passa inosservato. Il buttadentro di un famoso bar ristorante di Boca Chica è un metro ottanta per 130 chili, camicione bianco aperto sulla pancia, pizzetto brizzolato, aria da predicatore, eloquio da televenditore. Faccio in tempo a chiedergli che cosa ci sia nel menu. Scrivo come capisco, e poiché parla a raffica capisco la metà.

Dice: “Questa è l’università del marisco, abbiamo il pesce fresco, aragosta, polpo, lambì, gamberi, pesce freschissimo, arroz, habichuela, la carne, insalata, la migliore piña colada dominicana. Tranquillità, onestà e sicurezza per voi. Tutti gli italiani vengono qui. È il nostro motto: onestà e sicurezza”.

Intorno, ragazze vestite alla marinara che ballano, baristi e camerieri indaffaratissimi, e poi capannelli di giocatori di domino, chiacchiere multilingue, un enorme americano legge l’ultima di Harry Potter, un fruttivendolo espone frutta strepitosa, un gigantesco poliziotto ci guarda con interesse.

Sembra Denzel Washington, l’attore. No, è il suo sosia dominicano: alto e massiccio, stemma di riconoscimento sul berretto scuro calato sugli occhiali scuri e a specchio, divisa di un bianco impeccabile, mostrine da sergente sui pizzi del colletto.

“Appartengo alla Politur, la Polizia turistica. Siamo qua per garantire la sicurezza degli ospiti, per orientarli e per proteggerli. Noi diamo appoggio al turista affinchè non abbia problemi e al suo ritorno in patria dica a tutti che si è trovato bene. Il turismo per noi è una risorsa importante”.

Non male l’idea del Politur. Voi che ne dite?

9:41 pm

Sbobinando (24)

(Scusate l’assenza, ma il lavoro chiamava e non ho potuto sbobinare; comunque, rieccomi: è sempre il pomeriggio di lunedì 25 luglio 2005)

Da Boca Chica a Prà il passo è breve: merito di Nancy, proprietaria di un ristorante ma soprattutto di un bel faccione sorridente.

Siamo entrati nel locale perché prometteva cucina italiana e abbiamo trovato una dominicana che dice “la nostra cucina romagnola” e sa tutto sul pesto, mostra il menu che vanta le nostre care trenette e confessa, come unico cruccio, l’uso di un mortaio di legno anziché di marmo.

Nancy è un bel tipo: ha imparato la cucina romagnola da un fidanzato romagnolo, e i segreti del pesto, su suggerimento (indovinate un po’) di un altro fidanzato, li ha appresi nei ristoranti di Genova e riviere; sa tutto, comprese naturalmente le qualità del miglior basilico.

Non vorrebbe farsi intervistare perché non è in tiro come dovrebbe esserlo la dueña di un ristorante, poi si arrende.

“Lo so che il vero basilico è quello di Prà – ci spiega sfidando la nostra incredulità – quando sono stata a Genova sono andata a cercarlo, è stata una cosa davvero interessante”.

Sfodera due tovagliette, una raffigurante i luoghi colombiani di Genova e Liguria, una monografica sul pesto.

Ma come fa a farlo qui? “Ho un po’ di terra, me lo coltivo. Uso solo le foglioline piccole, altrimenti sa di menta e non va bene”.

Il suo italiano è ottimo. Il locale è molto bello. La cucina sarà anche romagnola con un’eccezione per il pesto, ma le pareti sono tutte dedicate a Genova: foto, carte nautiche, ce n’è perfino una dettagliata sul porto con la diga foranea in primo piano.

Peccato non siano neanche le quattro del pomeriggio: io che all’estero non mangio italiano, per le trenette al pesto avrei fatto un’eccezione.

9:17 pm

Sbobinando (23)

A Boca Chica arriviamo intorno alle 15; ho letto e mi hanno detto che è un luogo di peccatori e peccatrici.

È incredibile che il posto si presenti, almeno dall’accesso dove capitiamo noi, come luogo per famiglie: un pezzo di spiaggia grande quanto mezzo campo di calcio, giochi per bambini, venditori ambulanti carichi di salvagenti di tutte le taglie, per un mare la cui profondità non supera la misura di una tibia; verso destra la spiaggia diventa una lingua di sabbia compatta e dura, larga due metri e lunga qualche centinaio.

Penso che abbiamo fatto bene a preferire Juan Dolio, prima di tutto perchè qui non saremmo riusciti a fare il bagno, poi perché c’è più confusione; quanto al resto, non so.

Mi guardo intorno e penso a quando ero militare (purtroppo sono già passati quasi trent’anni): i miei amici volevano essere invitati a Genova con la promessa di accompagnarli in via Prè.

Non mi credevano quando dicevo che era un luogo di peccati trascorsi, sempre meno colorato e sempre più triste: poca e sgangherata sostanza, tanta leggenda, storie da sopravvissuti.

A Boca Chica staremo poco. Forse perché cerchiamo altro, troveremo solo qualche comparsa. E per fortuna, tracce di altre storie.

9:17 pm

Sbobinando (22)

Alla spiaggia di Juan Dolio si arriva percorrendo una superstrada ampia e veloce, una mezz’ora abbondante dopo l’uscita dal centro di Santo Domingo; a un certo punto si svolta a destra e ci si trova in un posto identico a tanti altri.

Almeno qui, i Caraibi, come aveva detto un tizio a proposito dell’Italia, sono un’espressione geografica: gli stradoni sono uguali dappertutto, quelli che corrono paralleli al mare fanno ancora più impressione.

Vedendo le palme, finalmente un sussulto: stiamo per entrare nella cartolina. C’è un bar-capanno, siamo i primi clienti, c’è anche una signora italiana un po’ volgare: chi l’ha detto che solo gli uomini fanno turismo sessuale? Dice che viene spesso. Buona vacanza.

Il posto è “telegenico”, ma non ridete se dico che la spiaggia di Arenzano, alla stessa ora, con la sabbia stirata dalla risacca non è meno attraente; in più, l’acqua sa di mare e il mare libera uno sapore di iodio che qui non riesco a sentire.

Il posto mi sembrerebbe finto se un recente ciclone non avesse seminato un po’ di danni, costringendo il titolare di un albergo a svenderlo nonostante sia in buone condizioni generali.

Da una villa ben protetta esce il guardiano e ci spiega che centomila dollari, qualcosa di più qualcosa di meno, bastano per comprare un posto da sogno come quello in cui sta facendo lavori di manutenzione.

Ci guardiamo intorno, tutti vendono qualcosa: un monolocale, un esercizio commerciale, una casa con piscina.

La spiaggia è maltrattata: rami, tronchi d’albero, arbusti: ma l’ha fatto il ciclone di metà luglio? “No, señor, è stato l’anno scorso”. L’anno scorso? Vabbè.

Tito gira a lungo, trova perfino una sorta di prato davanti al mare, ed è bello il gioco della telecamera, che sale dalle piantine alla classica panoramica sulle palme inchinate verso gli ombrelloni e le sdraio.

I ragazzi fanno il bagno, don Lorenzo va a fare la spesa per il pranzo (consumeremo ottimi panini), Francesco stupisce tutti con un formidabile cappellaccio a tesa larga e floscia: uno spettacolo che non mi avventuro a descrivere.

Milena non resiste alle ragazze haitiane che le propongono una testa di treccine, altrettanto la Benny: per lei (Milena aveva già concordato la tariffa) ingaggio una trattativa che vale uno sconto di 5 dollari e un’accusa. “Tu non sei italiano”, mi dice una delle parrucchiere.

Un po’ più in là Tito sta riprendendo una barca carica di pesce fresco; Francesco accetta l’invito di un venditore di noci di cocco e in pochi minuti abbiamo anche il dessert.

L’apertura delle noci è spettacolare, a colpi di machete, la lama che sfiora le dita che tengono il cocco, lui sicuro di sé e noi col fiato sospeso. Il conto è onesto.

La troupe (Francesco, Tito e io) dichiara finita la gita e parte per Boca Chica.

Ieri ho rivisto Suor Serafina!!!

Sono stata a trovarla al convento delle Suore Brignoline a Marassi. Sinceramente mentre l’aspettavo mi sono chiesta come potesse trovarsi una come lei in un luogo così silenzioso e raccolto, quando a Santo Domingo era sempre in mezzo al rumore e al calore della gente… Poi mi giro, la vedo correre verso di me con quel suo splendido sorriso di sempre e non mi sono più fatta tante domande.

Ci siamo sedute a un tavolo e abbiamo parlato tanto: mi ha raccontato della vita nella missione, della scuola e del centro nutrizionale che lei segue sempre con dedizione e amore. Io le ho un po’ spiegato quello che ho fatto in questi mesi, dei progetti che ci sono nella mia Parrocchia, nella mia vita… E come quando ero a Santo Domingo, anche ora la sentivo vicina a me come una mamma, è una persona che mi ha sempre rassicurato fin dal primo momento.

Poi mi ha detto una cosa che non vedevo l’ora di scrivere sul diario: nei mesi estivi sono stati donati alle suore di Genova sei pacchi colmi di vestiario nuovo (magliette, canottiere, pantaloni per bambini e adulti) insieme a roba da bagno e per la pulizia e Suor Serafina ha appena ottenuto il permesso di mandarli in Guaricano! A me è sembrata un’idea bellissima anche considerando il fatto che ci sono famiglie nel barrio così povere e numerose da non potersi permettere vestiti nuovi e Suor Serafina lo sa bene lavorando a stretto contatto con loro quando è al centro nutrizionale . Mentre me lo raccontava era felicissima!

Sabato prossimo c’è la festa della madre fondatrice delle Suore Brignoline, Santa Virginia e la suora mi ha invitato. Ci vado sicuramente e spero di incontrare anche Eugenia e Fiammetta, sarebbe l’occasione per conoscerle! Vi saprò dire anche qualcosa sulla spedizione dei pacchi, ok? Intanto vi saluto e vi porto l’abbraccio di pace di Suor Serafina che come al solito mi ha contagiata…!

9:50 pm

Sbobinando (21)

Lunedì 25, ore 8.30.

Nella vecchissima Mitsubishi rossa con i sedili sfondati e il parabrezza con un buco dal quale si dipartono crepe identiche ai raggi del sole, Tito e io sprofondiamo più che altro sorpresi: questa ci mancava, ma è giusto provarla.

Diciamo la verità: a Genova, su una macchina così, non saremmo mai saliti. Non so se più per paura o più per vergogna. Il fatto è che da noi una macchina così potrebbe stare solo da un demolitore, qui sta onorevolmente nella media, fra le auto decenti dei benestanti e le carcasse arrugginite dei loro dirimpettai.

El chofer de confianza l’autista di fiducia trovato da don Paolo, guida con sicurezza in direzione di Juan Dolio, il posto che abbiamo chiesto di vedere e dove alla fine s’è deciso di fare un bagno, perché non si può tornare dai Caraibi senza aver assaggiato il mare e la spiaggia da cartolina.

La nostra guida è sempre Francesco. Sul pick up della missione c’è don Lorenzo: porta i ragazzi, per un giorno è gita anche per loro; Benedetta e Milena vogliono farsi fare le treccine.

Scopriremo che le ragazze haitiane fanno treccine in cambio di 20 dollari. Alla sesta cliente hanno guadagnato quanto in un mese il guardiano notturno conosciuto in cañada, quello che rischia la vita per difendere la stazione di servizio dall’assalto dei tiguere.

Un’altra conferma che le attività turistiche e assimilate viaggiano per conto loro.

Ci guardiamo intorno: gruppi di spazzine puliscono la strada (“Siamo in campagna elettorale”, ci spiega el chofer), il traffico è disordinato ma veloce, a ogni semaforo una dozzina fra ragazzi e adulti, uomini e donne, offrono qualunque cosa, dalla pulizia del vetro alle barrette di cioccolata, dalle bottigliette d’acqua ai sigari, dalle caramelle ai giornali.

Semaforo verde, siamo in seconda o terza fila; l’auto davanti a noi si sposta giusto in tempo per consentire al nostro autista di fare altrettanto, così evitiamo di travolgere la cosa che fa da spartitraffico.

La cosa è una persona. Un ragazzo di colore, avrà al massimo 25 anni.

Cammina sulle mani, aiutandosi con il moncherino della gamba sinistra, che spunta dai jeans tagliati corti. È amputata un po’ sopra il ginocchio. La gamba destra è più corta, dev’essergli stata amputata a metà coscia, forse anche più su.

Muovendosi con fatica, a ogni scatto di semaforo non fa in tempo a mettersi al sicuro, così rimane al centro della strada.

Chissà se si è abituato alle macchine che gli sfrecciano vicino alle orecchie, o se invece gli fanno ancora paura.

9:41 pm

Sbobinando (20)

Dalla cañada alla parrocchia di Santiago el Menor, purtroppo chiusa (causa orario) e allora di nuovo alla cañada, ma da un altro lato e con un percorso che ci offre uno spaccato diverso della realtà dominicana.

Un movimento oltre una grata attira la mia curiosità. Mi avvicino e scopro un panificio semi-industriale: una fila di carrelli alti due metri e pieni di lame a loro volta piene di panini, uguali a quelli che si vendono dappertutto. Saranno migliaia.

Guardo meglio nel buio e vedo un certo numero di bambini, non distinguo che cosa facciano. Uno di loro si affaccia, domando il permesso di fare qualche ripresa, lui va a chiedere a qualcuno. Sento una voce d’adulto che dice di no.

Proseguendo precipitiamo in una scena da film anni ’50.

Frammento di paese, la strada che si apre in due, divisa da un muro largo tre metri; al centro del muro un ragazzino con la mazza tipo baseball aggredisce qualcosa che somiglia a una palla, la colpisce e parte come un proiettile per conquistare la base. Uragano d’entusiasmo.

Un secondo ragazzo, più grande d’età e di statura, si accorge della telecamere e chiede di essere ripreso. Tito fa cenno di sì, lui però non riesce a prendere una palla buona. Poi finalmente l’azzecca e fa quel che deve, ma scatta solo dopo essersi accertato che Tito l’abbia visto.
Altro uragano d’entusiasmo.

Improvvisamente ricordo che nelle pagine sportive del quotidiano che ho visto in missione, prima di pranzo, non avevo trovato una sola riga dedicata al calcio; io stesso ho visto solo baseball, pallavolo e basket. Niente calcio, neanche per sbaglio.

Per ogni cosa c’è sempre una prima volta; questa non mi è dispiaciuta.

…un “QUI” che vorrei fosse il barrio El Guaricano e che invece viene da Genova Pegli.

Indovinate un po’? Sono proprio io, Lara.

Vi assicuro che scrivere dal portatile sul tavolo di casa con luce costante e nessuna zanzara malefica che mi tedia mi fa davvero strano… Per non parlare del caldo umido che quasi mi manca…

Da quando sono tornata non c’è giorno ch’io non pensi all’esperienza vissuta in missione e che non legga il diario; a questo proposito devo ammettere che ultimamente saranno gli articoli di “sbobinando” o gli accenti azzeccati di Don Paolo (dovete sapere che me li ha sempre corretti lui…), ma a me leggendo viene voglia di ripartire all’istante.

Mi sa però che per ora io debba restare “QUI” e nel frattempo scrivo.

Lo sapete che fine ha fatto Suor Serafina? Io è una settimana che cerco di rintracciarla ma ho saputo che torna a Genova domani da Lourdes. E anche questo fa parte della missione… no perché lei la missionaria la fa sempre e quindi anche nel periodo di pausa dalla missione in Repubblica Dominicana. Sicuramente una persona bella così non ha bisogno di ulteriori parole, non vedo l’ora di riabbracciarla! Ovviamente mi piacerebbe anche farle conoscere la mia città, il mare,… e le farei vedere dove vivo, la gente del mio quartiere e la mia Parrocchia. Con Don Mario siamo già d’accordo di invitarla una domenica alla Messa dei bambini perché possa raccontare insieme a me la sua esperienza nella missione: sono sicura che ne sarà entusiasta, lei adora stare con i piccoli… Inoltre vorrei organizzare un incontro con la mia classe di catechismo e con il gruppo degli anziani, quindi presto vi saprò dire!

Anche perchè come dice Don Paolo la missione è ovunque ti trovi, a Santo Domingo come anche nella tua città…
…solo così il “QUI” di prima può essere generalizzato e ha un senso…

1:31 pm

Sbobinando (19)

Tentativo d’intervista.

Dico tentativo perché si vede a occhio quando non c’è speranza: la ragazza dallo sguardo perduto sta proprio pensando ad altro.

Le chiedo della bambina. “Ha quindici giorni, si chiama Liliam”, risponde senza cambiare espressione.

La bimba è un angioletto infilato in una tutina rosa, la testina è protetta da una cuffietta bianca con disegnini di frutta.

La donna anziana ci spiega che la ragazza è preoccupata da un gravissimo problema: la bambina più grande (quella seduta accanto alla mamma), da un mese ha smesso di camminare.

Che cosa è successo? “È caduta dalla sedia e ha battuto la schiena”.

All’ospedale che cos’hanno detto? “Non ce l’hanno portata: la famiglia non ha i soldi”.

Come, la famiglia non ha i soldi: ne servivano così tanti? “No, ma la famiglia è così povera che non ha potuto nemmeno far visitare la bambina”.

Così la piccola rimane lì, senza nessuna cura. Magari bastava poco.

Prova a guardarla Orietta, che è infermiera e come minimo sa come toccarla. Ma che può fare?

Ci chiamano dalla baracca di fronte.

Da una porta di lamiera sbucano una ragazza e una bambina, in un attimo arriva un giovane con la voglia di farsi intervistare: è il terzo (o il primo) membro della famiglia, fa il guardiano di notte a un distributore di benzina.

“È un lavoro pericoloso – mi dice –soprattutto perché è proprio di notte che i tíguere fanno le loro scorribande nel barrio. Sparano, ammazzano anche”.

Hai paura?, gli chiedo. Sorride: “Non posso avere paura: è un lavoretto, ma è l’unica cosa che sia riuscito a trovare”.

Ti pagano bene? “Quattromila pesos al mese”. Centoventi, centotrenta euro, se ho contato bene.

E così adesso sappiamo il valore di una vita nella bella Repubblica Dominicana.

2:58 pm

Sbobinando (18)

Siamo ancora nella cañada.

Dice Francesco: “Peccato non ci sia don Lorenzo, lui questa zona la conosce benissimo”. Carmen e Orietta si guardano intorno sconcertate.

Penso a Milena, Eugenia, Benedetta, Fiammetta e Simone che sono rimasti coi loro coetanei della parrocchia di Amparo, per la sfida a pallavolo: questa sì che sarebbe stata un’esperienza da riportare a Genova, per raccontarla ai loro amici di Castelletto e Bolzaneto.

Penso ai giovani e giovanissimi immigrati che periodicamente vengono scoperti fra i resti della Mira Lanza di Teglia o fra le macerie di qualche altro rudere dell’archeologia industriale genovese.

Giriamo fra casette rivestite di lamiere cascanti, pezzi di legno come pareti, alberi di cocco che spuntano ovunque e almeno danno un poco di ristoro.

Davanti a una baracca c’è un quadretto dominicano che stringe il cuore: su una sedia bianca di plastica è seduta una bambina di un anno, porta solo una collana di palline colorate ed è immobile, accanto alla mamma seduta su una sedia identica e con una bimba piccolissima in braccio.

È una mamma giovane, con lo stesso sguardo senza espressione della figlia maggiore.

È vestita senza passione: gonna azzurrina che in realtà potrebbe essere l’orlo di una sottana, camicia da uomo a rettangoli grigi disposti in verticale, in testa un berretto con la visiera dal quale spunta un fazzoletto rosso con disegnini bianchi.

Accanto a loro c’è una signora che direi anziana, ma probabilmente non supera (o supera di poco) i cinquanta.

Gente della Canada, scrivo sbobinando.

Quando mi accorgo dell’errore mi scappa un sorriso amaro: “Avevo una casetta piccolina in Canadà…”.

10:56 pm

Sbobinando (17)

Ora capisco perché Juan mi aveva chiesto di aspettare: voleva rendersi presentabile prima dell’intervista.

Infatti s’è presentato indossando una bella camicia di cotone pesante, tipo jeans, con quadrettoni davanti.

È sul metro e settantacinque, faccia rotonda, baffetti morbidi. La voce è piena, il tono misurato.

Dice: “Qui abitano persone molto povere, in condizioni che hanno dell’incredibile. Guardate la cañada, il problema igienico è gravissimo: nella fogna si scaricano feci e tutti il resto”.

Mi guardo intorno. Respiriamo la puzza della fogna. Come fanno a viverci?

Mi viene in mente il fiume nero che divide in due la favela di San Josè a Belo Horizonte, in Brasile: quando la vidi, mi colpì la presenza dei maiali e il lento scorrere dall’alto in basso dell’acqua fetente, una ruga maleodorante in una montagna di spazzatura e umanità ferita.

Qui l’acqua fetente attraversa un tratto pianeggiante girando intorno ad alberi che sarebbero bellissimi, e a tratti si apre in squarci di natura che chissà cos’era prima che la cambiassero.

Vedo un giovane al lavoro fra il fiume e il retro della sua casa, sta rinforzando un argine che le ultime piogge hanno indebolito.

Dice Juan Reyos: “Il pericolo di contaminazione è enorme, è stata la povertà a creare questa situazione. Non possiamo difenderci. Non so quanti siano gli abitanti, ma so che la maggior parte non ha di che mangiare e non lavora”.

Mi hanno detto che abitare qui sarebbe proibito.

“Non abbiamo un altro posto. Però abbiamo la speranza che le cose possano migliorare, che le autorità ci aiutino”.

Insisto: vi hanno promesso qualcosa?

La risposta è un capolavoro di educazione: “So che un gruppo di abitanti è andato al Municipio, ma non ho ancora avuto occasione di vedere qualche risultato”.

9:13 pm

Sbobinando (16)

Juan Reyes si è andato a cambiare per fare l’intervista.

L’avevo incontrato sulla scaletta ripida che dalla strada scende nella distesa di baracche lungo la cañada, la versione dominicana delle favelas che ho visto in Brasile; lì (in Brasile) sono impenetrabili a meno di essere accompagnati da persone credibili e conosciute, c’è da farsi ammazzare.

Per non correre rischi, prima di scendere avevo cercato qualcuno con cui parlamentare.

Juan Reyes era in jeans e canottiera, davanti alla prima baracca; mi aveva chiesto in inglese se avessi bisogno di qualcosa, gli avevo risposto che volevo notizie su questo luogo.

È un posto che fa impressione: baracche su baracche lungo un fiume putrido; vedo bottiglie di plastica squarciate, resti di un bambolotto, avanzi di pneumatici; sacchetti lacerati appesi ai rami degli alberi lungo il canale danno la misura del livello dell’acqua nei giorni di piena.

Sacchetti e altri detriti arrivano a due metri, significa che le baracche vengono invase da schifezze d’ogni genere.

Aspettando Juan mi guardo intorno. Da una casetta graziosa, pareti rosa carico con piccole finestre verdi, esce una giovane signora in canottiera rosa, con un bel sorriso aperto.

Signora, non è pericoloso abitare qui?. “Certo che è pericoloso, ma siamo poveri e non possiamo comprare casa da un’altra parte. E allora siamo costretti a restare nella cañada: quando piove stiamo in pericolo”.

È già successo. Succede ogni volta che piove: la fogna si gonfia fino a tracimare, come fanno i piumi in piena.

Chi ha mai visto la piena di una fogna?

9:13 pm

Sbobinando (15)

Ancora la storia delle scarpe, perché non mi va giù.

Percorrendo la via che dalla parrocchia di Amparo porta a una favela che si sviluppa due metri sotto il livello della strada (e dove andremo fra poco), vedo altre scarpe penzolare dai fili della luce.

Tito stringe su queste tracce di vite appese. Dondolano mosse dal vento. Sembrano bandiere a mezz’asta. Penso a come utilizzare queste immagini.

Viste così sono terribili, sembra di vedere degli impiccati.

Forse è la mia immaginazione, ma non posso non vedere come gli aquiloni e le scarpe siano i due capi di un identico filo: c’erano bambini che giocavano con gli aquiloni e poi sono finiti appesi allo stesso modo.

Francesco, succede spesso? “Sì, mi hanno detto che sono 250 i giovani che ogni anno muoiono i questo modo, in un tiroteo con la polizia”.

Quindi ci sono 250 paia di scarpe in più, appese quest’anno? “Penso proprio di sì”.

Come dire: un morto ogni 36 ore, un funerale ogni giorno e mezzo?

“Già. Si vedono tante candele accese lungo le vie che il ragazzo frequentava. Candele accese e scarpe appese esprimono la protesta contro i metodi della polizia: non è detto che tutti i giovani uccisi fossero tiguere, molte volte basta non ubbidire a un alt per essere colpito a morte”.

Per diventare scarpe appese? “Per diventare scarpe appese, sì”.

9:07 pm

Sbobinando (14)

Un bambino perse il suo aquilone che si impigliò nei fili della luce.

Un ragazzo perse le scarpe che si impigliarono nei fili della luce.

Dove sta lo sbaglio?

“Le scarpe appese sono un segno di protesta”, dice Francesco. Cioè? “Sono stati gli amici di un ragazzo ucciso dalla polizia”. Un ragazzo? “Sì, un membro di qualche banda”.

Qui soprattutto di sera è tutta una guerra di bande. La gente normale sta a casa, il barrio diventa territorio di caccia dei tiguere, li chiamano così.

Sono pericolosi? “Molto pericolosi”. E le scarpe? “Sarà andata così: una sera è arrivata la polizia e c’è stato uno scontro a fuoco, oppure più semplicemente gli hanno sparato per chissà quale ragione, non sempre quelle che succede ha una spiegazione lineare”.

Resta la testimonianza. Le scarpe appese urlano la protesta degli amici del morto. Dicono che secondo loro qui è stata fatta giustizia sommaria. Non ne sappiamo di più.

Lungo la strada fra Las Terrenas e Samanà vedremo una decina di paia di scarpe appese nello stesso punto.

Pomeriggio a spasso, vediamo che cosa troviamo. Vediamo se è vero che basta uscire per inciampare nelle notizie: l’ho sempre detto, a volte lo ripeto come se fosse una formula magica.

Ci guida Francesco, un genovese che passa qui buona parte dell’anno. “Sono in pensione, dopo una vita passata in mezzo ai numeri”, racconta.

Lavorava all’Inps (o alla Banca d’Italia?, ndr), anche in missione continua a occuparsi di conti, per esempio quelli della farmacia: “È una formidabile risorsa per la gente del barrio – mi spiega: qui tutto è a carico del paziente, le medicine costano molto, a volte i prezzi sono impossibili. Da noi si possono comprare risparmiando almeno il trenta per cento”.

Non gli chiedo come ciò sia possibile perché la mia attenzione si sposta sull’uomo che sta abbassando la saracinesca, neanche a farlo apposta, di una farmacia. Una gran bella farmacia, a giudicare dalle tre grandi serrande in fila: faranno non meno di cinque-sei metri di vetrine.

L’uomo lavora con calma, posizionando enormi lucchetti e facendoli scattare; poi controlla che siano ben chiusi, sotto gli occhi attenti della signora che gli sta al fianco, alta e bella, vestita con sobria eleganza: maglietta con ampia ma misurata scollatura, giacca beige di buon taglio sopra pantaloni scuri, capelli ramati divisi in mezzo e raccolti da un bel fermaglio.

Lui indossa pantaloni chiari di taglio classico, la camicia azzurra a maniche corte è bene infilata nei pantaloni; se la portasse fuori dai calzoni, la camicia nasconderebbe la pistola infilata nella cintura, ma è chiaro che la pistola, canna d’acciaio e calcio zigrinato nero, è lì per essere vista.

E io un farmacista con la pistola non l’avevo mai visto.

Fossimo a Genova, non mi avrebbe neanche risposto. Io stesso forse non gli avrei neanche fatto la domanda: “Señor, ¿por qué usted tiene la pistola?”.

Come si fa a chiedere a uno con la pistola nei pantaloni come mai tiene la pistola nei pantaloni? A volte si fa. E poiché a Santo Domingo la gente ha la cortesia di rispondere, anche il farmacista con la pistola interrompe le operazioni di messa in sicurezza del suo negozio e mi risponde: “Perché dobbiamo difenderci, non abbiamo alternative”.

Da chi?, gli chiedo, giusto per costruire uno spazio di dialogo. “Dalle bande di delinquenti che infestano le nostre strade”, spiega con garbo, senza alzare la voce.

I suoi trisavoli dovevano essere schiavi portati dall’Africa, chi è venuto dopo s’è incrociato con gente arrivata dall’Europa. Lui è un mulatto piuttosto chiaro, ha i capelli cortissimi e bianchi, porta occhiali senza montatura e stanghette piatte d’oro, è sul metro e settanta, robusto.

Vede le nostre facce perplesse. E domanda: “Quanta polizia ha visto in giro?”. In effetti non molta, ma sono le quattro di domenica pomeriggio e non è che la polizia possa andare dappertutto. “Qui se ne vede poca, mentre di delinquenti se ne vedono tanti”.

Guardo la pistola: le è mai capitato di doverla usare? “No, finora sono stato fortunato”. Chissà se è vero.

10:21 pm

Partita Sandra

Stasera è partita Sandra.

È stata con noi quasi un mese, dando una mano forte a Lorenzo in cucina, e mantenendoci tutti allegri.

Ha una comunicativa bellissima. Nonostante non sapesse lo spagnolo ha imparato qualche parola e all’occasione si è fatta capire.

Brava, Sandra!

Speriamo che tu possa tornare!

L’amore é un’ottima… ragione! per fare cose che altrimenti non faremmo!

Si va a Duquesa! Missione impossibile? Nemmeno per sogno!

Armati di “fede-speranza-caritá”, don Paolo, il gruppo “scelto” della parrrocchia ed io ci imbarchiamo alla volta di Duquesa, quartiere degradato al cui lato la città di Santo Domingo deposita la spazzatura!

Aiutare la gente di Duquesa a scoprire l’amore di Dio: è questo quello che si sono proposti i missionari. Qui tutto acquista maggiore importanza perchè capire richiede un impegno maggiore!

Voglio assorbire questi momenti: la luce del sole, il lungo viale e le povere case in lamiera e muratura, macchine arrugginite, bambini e un vecchio che legge la bibbia, a cavallo di una sedia, davanti all’ingresso della… cappella! Anche il cattivo odore di Duquesa resterá tra i miei ricordi più… preziosi, perchè no?

Fuori è già buio, una luce fioca illumina la sala, i canti e la preghiera hanno ripreso vigore. Siamo stanchi, accaldati, ma teniamo duro!

Una mamma e la sua bambina vestite di rosa si sorridono teneramente, un bambino si affaccia alla porta e lo saluto.

A un certo moemnto la responsabile della preghiera, che è una signora attempata poco stabile emozionalmente, si arrabbia con la signora vicino a lei perché le è sembrato che l’abbia interrotta nel leggere un salmo.

Verso le sette e mezza cominciano ad arrivare i missionari, che stanno terminando il loro giro porta a porta. Alle otto ci siamo finalmente tutti, concludiamo la preghiera con il Padre Nostro e don Paolo impartisce la benedizione.

Stanchi ma felici rientramo in Guaricano. C’è stato solo il piccolo inconveniente che alla guagua gli si sono bucate due gomme posteriori tutt’e due insieme. Ma non c’era da preoccuparsi, come dimostra il fatto che i missionari per l’occasione si sono messi a cantare a squarciagola.

È stata un’esperienza che mi ha toccato. Mi ha fatto sentire fuori misura ma mi ha dato forza. Mi sento più “carica”.

La missione è cominciata con 14 coppie di missionari.

Siamo partiti da Betania alle cinque e mezza di pomeriggio, arrivati là ci siamo messi in preghiera per mezz’oretta, e quindi ogni coppia a portare il vangelo alle sue 10/15 famiglie.

La gente di chiesa di là ci aveva preparato uno stuolo di ragazzini come accompagnatori dei missionari.

Io sono stato a casa del capo della banda, e anche di un altro, e poi mi hanno portato da un gruppo di giovani che lavorano nella discarica.

Con tutti abbiamo cercato di riflettere sull’amore di Dio per noi.

Sento che il Signore mi ha messo parole azzeccate in bocca: ho visto il frutto di queste parole nel fatto che persone rozze e che non mettono mai piede in chiesa si sono aperte a fare una preghiera e a gustare un po’ della parola di Dio.

È venuta anche Sandra, ha fatto l’esperienza di andare sulla guagua con i missionari e di farsi riempire le orecchie dai loro canti gioiosi durati tutto il viaggio.

E al ritorno (verso le otto e mezza) ha avuto l’esperienza di due gomme scoppiate allo stesso tempo.

Alle nove eravamo a casa sani e salvi.

Fioretto… scrivo sul diario!

Questa volta riesco a scamparla perchè vi “regalo” alcune frasi della scrittrice canadese Jamie Zeppa. Racconta del suo viaggio in Bhutan, Nepal, dello scontro e dell’incontro tra due culture diverse, la differenza che passa tra Arrivo e Accesso.

“Puoi arrivare in un posto senza entrarci mai veramente: ci sei, ti guardi intorno, scatti un po’ di foto, prendi qualche appunto, spedisci cartoline a casa. Pensi di sapare dove ti trovi, ma in realtà non hai mai lasciato casa tua. Accedere richiede più tempo. Vai avanti lentamente, a passi e bocconi. Cominci a …disperare: arriverò mai dall’altra parte?

E poi una mattina apri gli occhi e finalmente ci sei, sei davvero e incontestabilmente QUI. E solo allora cominci a renderti conto di dove sei… ma ci sono veramente arrivata dall’altra parte?”

Adios!

9:13 pm

Sbobinando (11)

Nuestra Señora del Amparo è una piccola miniera di sorprese, una specie di dépendance di Genova.

C’è un bellissimo Cristo arrivato da Voltri, con tanto di targhetta che ne ricorda la provenienza (l’avrà portato don Lino, o gliel’avranno mandato a suo tempo i parrocchiani voltresi: mi informerò).

Il pezzo forte è sulla destra, nientemeno che la Madonna della Guardia, proprio quella cui si affidò Papa Giovanni Paolo II quando venne a Genova nel ’90.

Chiedo a Simone di sostituirmi davanti alla telecamera: gli tengo il microfono, facciamo una cosa all’americana (microfono molto basso e intervistato in primo piano, nessun ostacolo fra lui e il telespettatore).

L’esperimento mi sembra buono: come dice Tito, “mettiamolo in macchina”.

Sul grande piazzale davanti alla Chiesa un bel nugolo di ragazzi: chi gioca a pallavolo, chi a baseball, c’è un dj in azione; una mezza dozzina di ragazzine distribuisce dolcetti e bevande, il prezzo è modico: si raccolgono offerte per non so quale attività parrocchiale.

Lo speaker annuncia la presenza de “los hermanos de Genova”, ci accolgono con un applauso e una sfida a pallavolo.

Qualcuno mi chiede: “Giochi anche tu?”. Mostro la pancia. E poi non ero granché neanche da ragazzo.

10:23 pm

Sbobinando (10)

Salutiamo Emiliana e saliamo sul pick-up di don Paolo, destinazione Casa Betania.

Tito azzarda un “camera car”, cioè una ripresa dalla macchina. Il don va un po’ forte, anche il “camera car” viene così così. Forse nel montaggio non potrò utilizzarlo.

Tito me lo dice subito, mugugnando un po’. In ogni caso, gira: nel dubbio, come dice lui, “è sempre meglio mettere in macchina qualcosa”.

Finora ha messo in macchina (nella telecamera) trenta minuti di buone riprese.

Abbiamo appena cominciato.

10:23 pm

Sbobinando (9)

L’intervista a Emiliana la facciamo un po’ troppo di corsa: mi dovrebbe spiegare la storia di una scuola, il cui terreno è stato vigliaccamente ceduto a terzi per una speculazione edilizia la cui consistenza si vedrà più avanti.

Per evitare che la gente del barrio faccia valere i propri diritti, il proprietario (passato o presente, non l’ho capito) ha fatto erigere una parete lunga più o meno un chilometro; la parete parte proprio dal muro della scuola, ed è uno dei diversi muri della vergogna che incontreremo girando per Santo Domingo.

Non so se potrò utilizzare l’intervista fatta a Emiliana. Proverò a salvare qualcosa, almeno la frase conclusiva: “Si sa che i ricchi approfittano sempre della debolezza dei poveri”.

Niente di originale, semplicemente vera.

10:23 pm

Sbobinando (8)

Candido è magro e alto: come a chiunque abbia superato il 40, uomo o donna che sia, ha un’età che non so definire. È magro e alto, dà un certo senso di forza, forse perché parla con calma. Ci offre una curiosa analogia: “La missione di Genova è per noi quello che la batteria è per il cellulare: la inserisci e il cellulare va”.

Prima di parlare con lui ho chiesto un paio di cose a Pastora Arias, che ha risposto con grandi sorrisi e poche parole, trasmettendomi comunque una intensa carica spirituale.

Candido dà soddisfazione: il suo è un ragionamento bene articolato.

“Questo per me è un giorno meraviglioso – dice – perché segna la crescita della nostra comunità: la Cappella dimostra che abbiamo fatto così tanta strada da dover già dividere la Parrocchia, è un risultato straordinario. Stiamo facendo un grande lavoro: siamo orgogliosi di essere dominicani e di condividere questa grande esperienza, che rafforza il nostro spirito, il nostro essere cristiani”.

Perché nessuno può dimenticare l’inizio della storia: “Quando arrivò la missione vivevamo in un’enorme discarica di spazzatura; con lo sviluppo del progetto pastorale e con l’aiuto dei fratelli di Genova stiamo trasformando il nostro barrio in un posto civile, pulito. Certo, siamo poveri, ma abbiamo trovato la voglia di lottare e di avere una speranza”.

Che bella la voglia di avere una speranza.

Stasera a cena ci siamo fatti due risate sincere.

Sandra ha detto di avere qui due professori di computer, si riferiva a me e a Lorenzo.

Ci siamo messi a ridere perché Lorenzo è notoriamente negato con il computer.

Vuol dire che la Sandra è a un livello sotterraneo!

10:20 pm

Sbobinando (7)

Anche Juana mi sembra un bel tipo. Piccola come Roselina, altrettanto convinta di vivere un’esperienza spiritualmente importante; sorriso aperto, capelli lisci nerissimi, orecchini ad anello di medio diametro, giusti per il suo viso, maglietta bianca a vu, piccoli occhiali da vista senza montatura.

Dice Juana: “Abbiamo condiviso la costruzione di questa Cappella, ci siamo preparati per tanto tempo a comprendere il valore della sorpresa che il Signore ci ha regalato. Per ora è piccola, avete visto quanta gente è rimasta fuori? Siamo sicuri che un giorno sarà una bella Parrocchia, come le altre che i missionari di Genova hanno aperto nel nostro barrio in questi anni”.

Le chiedo notizie di vita quotidiana.

Mancano la corrente e l’acqua potabile, mi spiega: alla sera fa davvero buio presto, e alle dieci di sera il buio totale fa un certo effetto: la centrale che fa orribile mostra di sé accanto alla missione, dunque in pieno barrio Guaricano, è una beffa oltre che una presenza incongrua con il senso comune.

Penso alla gente sfrattata dal Faro a Colón e riparata in Guaricano (ne parleremo più avanti): prima ha faticato a sostituirsi a una discarica (trasferita a Duquesa: parleremo anche di questo), poi si è ritrovata fra i piedi quest’altro orrore.

Prima stavano malissimo quanto alla puzza.

Come stanno a inquinamento elettromagnetico?

Ho dimenticato di chiederlo a don Paolo, che essendo laureato in fisica sicuramente lo sa.

9:33 pm

Sbobinando (6)

(Ficomincio a sbobinare dopo tre giorni di interruzione, causa eccesso di lavoro: oggi finalmente sono di riposo, dunque riprendo)…

La messa è finita. Sarà che mi sento trasferito ad altro tempo e altra dimensione, ma ho l’impressione che la gente sia davvero andata in pace. Gli uomini portano via le panche, restituite alla Parrocchia Santa Margherita, a Casa Betania dove fra un’ora don Paolo celebrerà di nuovo.

La Cappella appena consacrata si svuota rapidamente come s’era riempita, possiamo registrare qualche intervista.

Roselina è piccola e magra. Appesi ai lobi due orecchini lunghi e sottili, i capelli divisi da una riga precisa e riuniti a coda di cavallo dietro la nuca. Indossa una bella camicetta azzurra con righe sottili e molto larghe, il colletto lungo e appuntito.

Non so quale ruolo abbia fra le donne della comunità del Guaricano, ma parla da leader.

“Per noi la chiesa è il nostro incontro e il nostro inizio – mi dice -. Grazie alla Parrocchia molte persone hanno incontrato Dio: è quello che ci tiene uniti e forti, ci fa essere comunità. Lo dobbiamo a Padre Pablo, gliene siamo molto grati”.

Dice che sentono un forte legame con Genova, comunidad hermana capace di trasmettere aiuto e amicizia.

È bello sentirselo dire.

Nella parrocchia de Nuestra Señora del Amparo si è conclusa stasera la festa patronale.

C’era una bella chiesata di gente, e insieme a la gente del Amparo c’era un buon numero di persone di Santiago e di Santa Margarita.

Non poteva mancare Sila, la nostra cuoca, devotissima della Madonna della Guardia e vicinissima sempre a don Lino.

Padre Federico, che ha presieduto l’Eucaristia, ha voluto alla fine ringraziare Sandra e tutti gli altri laici e preti genovesi che si sono avvicendati e che hanno lavorato nella missione. Dalla gente è partito spontaneo un applauso riconoscente.

A me è toccato fare l’omelia, ho fatto risaltare come al santuario della Guardia le persone si avvicinano cercando il sacramento della Riconciliazione. L’intercessione materna di Maria è autentica quando aiuta a riconciliarsi con il Padre in Cristo.

Abbiamo concluso in bellezza la serata pulendo il polveroso loculo dove don Paolo ha il computer.

C’era polvere e sporco e acari da tutte le parti.

Ci sono volute due ore, ma adesso fa un altro effetto.

Spero che don Paolo mi lasci andare a dormire entro mezzanotte.

Da pochi giorni don Lorenzo mi ha affidato la cucina.

Così la mia mattinata è passata tra preparare il sugo di funghi (grazie a dei porcini che suor Daniela ci aveva mandato quando è venuto Francesco), con i pomodori che non c’erano e apparivano in varie tornate.

In più la ricetta del sugo che avevo in mente era quella sbagliata, e me ne sono accorta all’ultimo momento, così ho dovuto rifare tutto da capo in quattro e quattr’otto.

Dalle otto che sono entrata in cucina sono riuscita ad andare in bagno alle 12,04, con suor Modesta e suor Cristina che mi hanno intimato di usare i bagni vicini – forse avevano paura che mi allontanassi troppo…

Al pomeriggio ho rimesso in ordine la camera, e dopo ho avuto l’onore che don Lorenzo mi servisse un thé ben caldo.

Poi suor Cristina mi ha trascinato a Messa perché in realtà oggi è domenica.

10:29 pm

Brava Sandra!

Sandra è riuscita a scrivere il suo secondo contributo qui sul diario.

Sta facendo passi da gigante!

Quando se ne andrà le daremo la laurea honoris causa in informatica!

Ovunque si sia, l’incontro con i bambini è quello che più ti appaga! E i niños di Guaricano non fanno eccezione! I niños ti accolgono, ti prendono la mano, ti “sfilano” i capelli, si addormentano sulle tue ginocchia durante la messa (ricordi, Carmen?) e diventano i tuoi pazienti e allegri traduttori! Già, me ne sono innamorata! Hola, se volevo gettarmi in un’esperienza che fosse più grande di me, che mi costasse qualcosa… eccomi accontentata!

Mi chiamo Sandra, sono atterrata a Santo Domingo il 10 agosto (presa.. la zanzara!!!) e non ho mai desiderato scrivere… sul computer! Poi un “bel giorno” ho conosciuto don Pablo e adesso eccomi qua, in questo stanzino, accerchiata dalle zanzare a scrivere su questo “coso”! È appena entrato e mi ha detto: “Puoi andare anche a capo, se vuoi!”. Spiritoso, riesco a malapena a trovare gli accenti e le virgole, figuriamoci riuscire a “spaziare” sulla tastiera! O.K., stringiamo: quant’è durato il corso, tenuto dal don, per imparare a scrivere qui sopra? 38 secondi! L’ho cronometrato, parola!

Ho finito di… scherzare e nonostante le zanzare, le formichine dominicane e i grilli che cullano il tuo sonno, sono felice di essere qui.

9:43 pm

Sbobinando (5)

Lo scambio del segno della pace è una via di mezzo fra la nostra ritrosia e l’entusiasmo infinito dei brasiliani; lo facciamo da più di trent’anni: noi non ci siamo ancora ancora abituati a viverlo con l’immediatezza e l’intensità che merita, loro non si sono ancora stancati di andarsi a cercare per tutta la chiesa e di abbracciarsi come se non si vedessero da una vita.

I dominicani mi sembrano disposti al sorriso e a gli abbracci almeno quanto i brasiliani, ma il loro segno della pace mi pare più misurato.

E’ stata una bella Messa, vissuta bene.

Per quello che sono riuscito a capire della predica, don Paolo ha valorizzato bene la Cappella come frutto di sacrifici e volontà comuni, il senso della partecipazione: chi ha lavorato davvero si sarà sentito gratificato; chi si è fatto chiamare più del dovuto chissà che non si sia sentito incoraggiato, mettiamola così, a una futura maggiore solerzia.

M’è piaciuto sentire don Roberto leggere in spagnolo (in seguito scoprirò che conosce anche il tedesco: non c’è male, questi nuovi preti hanno un sacco di risorse).

Mi avventuro anch’io, per la prima volta dopo l’ormai lontano esame all’università.

In realtà è una prima volta assoluta perché allora avevo fatto scena muta e mi aveva salvato la pietà della prof, questa volta mi sono preparato con l’aiuto della Scià Hola, la mia vicina di casa señora Amalia Martínez.

Mi profesora mi ha raccomandato di buttarmi “sin tener vergüenza: lo importante es comunicar”.

Chissà se si scrive così. Comunque mi sono buttato. Sin vergüenza.

9:52 pm

Sbobinando (4)

È il momento: don Paolo va a consacrare la Nuova Cappella, che lui o chi verrà dopo di lui sicuramente un giorno dichiarerà Nuova Parrocchia.

È accompagnato da don Roberto, parroco di Mignanego e cappellano a Bolzaneto, prossimo a trasferirsi nel cuore di Sestri Ponente, in Guaricano da un paio di settimane con Eugenia, Milena e Simone.

Con i due don c’è Marcial, il diacono, uno dei testimoni più significativi della missione pastorale svolta in questi anni dagli inviati della Diocesi di Genova.

Penso che è davvero bello condividere la gioia di chi ha voluto e fatto nascere un Tempio.

Questo ha un aspetto pionieristico, sa di lavoro appena cominciato, per quanto sia l’ultimo frutto di un albero portato da Genova tredici anni fa.

Rifletto sull’innegabile patrimonio di gocce di sudore contenute in ogni primo atto. Mi è stato dato il dono di essere figlio, e il privilegio di trasmetterlo ai miei figli, cui spero di saper comunicare le stesse cose. A cominciare dalla gioia di essere qui.

9:52 pm

Sbobinando (3)

Prima hanno recitato il rosario, ora tutti cantano.

La Cappella è gremita ed è bellissimo guardarla da fuori: i ritardatari non hanno trovato posto e sono all’esterno, quasi tutti in piedi tranne qualche signora anziana cui è stata recuperata una sedia di plastica.

I più previdenti si sono accomodati su panche arrivate dalle parrocchia di Betania: mi è piaciuto vederle scaricare da macchine furgoni e camioncini, e poi portate in chiesa dalle braccia forti degli uomini.

I bambini arrivati per ultimi sono seduti sul gradone lungo il lato maggiore sinistro della sala, quello che affaccia sulla campagna. Tutto ha un ché d’altri tempi.

Sono le 7.30 quando Juana apre un foglio bianco, lo piega al contrario per vedere solo le sette righe che deve leggere.

Scandisce bene le parole: “Il Signore ci ha dato una nuova parrocchia, la perla più preziosa, il tesoro nascosto che abbiamo trovato. Pieni di entusiasmo e di allegria, accogliamo il nostro celebrante”.

10:21 pm

Sbobinando (2)

Spalle alla Cappella, sguardo rivolto alla campagna, fra le mani un libro con la copertina nera. Indossa un vestito color acquamarina, un lungo velo blu elettrico le copre testa e spalle, la vita è cinta da un nastro bianco. Quando si gira mi accorgo che non è una suora, non so darle un’età. Guadagna rapidamente la parete che la ripara dai nostri sguardi e da quello, più fastidioso, della telecamera.

Abbiamo appena cominciato le riprese e già abbiamo spaventato qualcuno.

Resterà l’unica: dominicani e dominicane, senza distinzione di sesso, età e condizione sociale, si fanno fotografare e filmare più che volentieri. Infatti sorridono tutti i parrocchiani accorsi all’inaugurazione della Cappella, e nessuno più si nasconde davanti a Tito.

Sono bellissime le bambine con le treccine inanellate di giallo rosso verde blu, fanno simpatia i loro coetanei maschi, spesso più compresi nel ruolo e dunque più distaccati, ma solo in apparenza.

Sono belle e gentili le loro mamme, che esplodono di felice curiosità, come i loro figli, quando si accorgono che le diavolerie della tecnica permettono loro di vedersi in diretta (mentre la telecamera gira) o di rivedersi subito, immortalati nel display della macchina fotografica.

Cambia l’immagine. Compare don Paolo arrampicato su una scala, dietro l’altare, appiccicato alla parete sulla quale misura il Crocifisso. Chi ha messo il chiodo ha sbagliato la mira, confortato da un paio di consiglieri che abbiamo visto all’opera, senza però avere il coraggio di fermare la sciagurata operazione: inchioda più a destra, no… inchioda più a sinistra.

Insomma, si poteva fare meglio. Quel che conta è che Gesù in croce prenda il proprio posto, poi gli farà compagnia la sua bellissima Madre. E don Paolo farà i gesti della consacrazione. Fuori, los monaguillos e il diacono Marcial preparano l’incenso: camera stretta su un grappolo di mani. Voce di donna, parole felici: “Benvenuti nella nostra nuova Cappella”.

Ovunque si sia, ovunque si vada, l`incontro con i bambini è quello che più ti appaga! E i niños del Guaricano non fanno eccezione! Vivaci, trasparenti e autentici i niños ti accolgono, ti prendono la mano, si addormentano sulle tue ginocchia durante la messa e diventano i tuoi pazienti, spassosissimi traduttori! Vero, me ne sono già innamorata, forse perché sono una catechista per vocazione?

Hola, mi chiamo Sandra e sono atterrata in Santo Domingo il 6 agosto! “Separa piú URI con gli spazi”! Cosa cavolo vorrà adesso ‘sto “coso”?

Allora, stavo dicendo che sono atterrata… e adesso sono sudata marcia: sono due ore che tento di scrivere due parole! S.O.S Sivia, dove sei? Adesso cercheró di darvi la buonanotte, non dovrebbe essere poi tanto difficile…

Buenas noches!

9:19 pm

Sbobinando (1)

Nel nostro gergo, sbobinare significa vedere la registrazione (“il girato”) e prendere appunti: li condivido con voi e provo a raccontarvi, una briciola per volta come pollicino, quello che ho visto. Vi ringrazio ora, e procedo.

(1)

Guaricano, 24 luglio 2005. la luce secca del mattino. la telecamera di Tito inquadra donne e uomini che sembrano venirci incontro: alle sette appena passate non si va a passeggio ma alla prima messa. sono tanti, si presentano in perfetto ordine, uno di loro ha un cartellino che lo qualifica responsabile del servizio d’ordine. penso che non ho mai visto niente del genere nelle nostre parrocchie. forse è un segno che qui, come altri posti in cui la gente ha poco, avere un ruolo è già qualcosa.

Oggi è un giorno importante, si inaugura la nuova cappella. come ricorderà don Paolo (padre Pablo) durante la messa, la costruzione in cemento e legno, col tetto di lamiera come quasi tutti i tetti delle case del barrio Guaricano, è frutto del lavoro dei parrocchiani. “Ciascuno di voi – dirà – ha rinunciato a qualcosa pur di mantenere l’impegno”. Non dev’essere stato facile: mi hanno detto che per i dominicani una delle cose più naturalmente negoziabili è l’appuntamento. ho visto che molti di loro non portano l’orologio. Beh, anch’io, soprattutto d’estate, lo porto malvolentieri.

Sto cercando di far scrivere qualcosa a Sandra, è come un parto, le doglie ce l’ha da vari giorni ma non riesce a partorire!

Sandra è venuta alla messa dei giovani. E mi sembra che se la sia goduta, perché la vedevo sempre con un buon sorriso!


In piscina con i catechisti

Oggi abbiamo fatto la gita di fine anno dei catechisti.

Siamo andati a Cotuí, dove abbiamo celebrato la messa, e il pomeriggio ce lo siamo passati in una bella piscina. Dalle 12 e mezza fino alle 5 siamo stati in acqua, divertendoci serenamente.

Nella messa del mattino abbiamo fatto una cosa bella. Visto che la processione delle offerte è il presentare i frutti del nostro lavoro, ho invitato i catechisti a venire al micorofono a dire il nome di un loro bambino del catechismo che ha fatto qualche passo avanti, come frutto del loro lavoro.

Purtroppo mi sono scottato un po’.

È venuta anche Sandra, ed è rimasta contentissima della giornata!

Siamo arrivate sane e salve a Genova! Io ora sono a Novi…

(Per Lorenzo e Francesco: non è saltato neanche un bullone!!)

Per la cronaca: il mango e il coso omeopatico che mi ha amorevolmente preparato Paolo ovviamente hanno fatto effetto in aereoporto…

È stranissimo essere di nuovo già a casa…

Le ultime impressioni le lascio a domani perchè ora sono stanchissima….

Buonanotte a me e buenas tarde a ustedes…

10:45 pm

Partite. Grazie!

Sono partite stasera per l’Italia Fiammetta ed Eugenia.

La loro presenza qui è stata molto positiva.

Lasciano un certo vuoto nella comunità missionaria.

Di Eugenia mi è piaciuta in particolare la sua disponibilità a fare qualunque cosa.

Di Fiammetta il cammino di chiesa bello che ha fatto il tempo che è stata qui.

Ci hai fatto un regalo grande, Signore!

Grazie, di cuore!

4:18 pm

In partenza

Che dire?

Tra poche ore partiamo, torniamo nella nostra vecchia e fredda Italia.. Sulle mie quattro settimane qui potrei scrivere paginate, e al momento stesso so che a parole non riuscirei a rendere bene quello che ho vissuto.

Come rendere, su una pagina, i colori, gli abbracci, le canzoni, il battito delle mani, i buchi per strada? Come spiegare, come raccontare gli odori, i bambini, le messe, il caldo e le zanzare?

So di certo, però, che questa esperienza mi ha fatto crescere molto, mi ha arricchito in un modo per me inaspettato, sotto tutti i punti di vista; e di questo ringrazierò sempre il Signore, per primo, che mi ha permesso di venire qui, e poi tutte le persone che non riesco a ringraziare a voce, forse anche perché mi metterei a piangere come una fontana… Don Paolo e Don Lorenzo, che mi hanno lasciato condividere con loro un po’ della loro vita, della loro missione; poi Francesco, Sandra, Carmen, sempre disponibili per tutto e così pazienti… e Fiammetta, fondamentale per me la sua presenza qui.

Non sono una persona dai facili entusiasmi, sono sempre portata a tenere un certo distacco dalle cose… eppure questo posto mi ha contagiata, mi ha portato via un pezzetto di cuore, mi ha cambiata, mi ha reso un’altra persona.

Mi porto via tante cose… mi porto via la gioia di andare a Messa tutti i giorni, la gioia di dire compieta tutte le sere, di incontrare il Signore così tante volte al giorno, tutti i giorni; mi porto via l’interesse e il divertimento che provo quando c’è sempre qualcosa da imparare, da scoprire, da capire.

Con l’augurio di poterle a mia volta trasmettere a Genova e nella mia vita di tutti i giorni, mi porto via l’accoglienza straordinaria delle persone che abbiamo visitato con Paolo, la gentilezza e l’allegria di tutti quelli che abbiamo incontrato.

Lascio volentieri qui, invece, il caldo e le zanzare…

3:50 pm

Fisica

Dove sono finite le ripetizioni di fisica di cui avevo sentito parlare…? Eheh…

Sperem-mo ben…

Fra due ore si parte… sono un po’ triste… Già non vedo l’ora di rivedere Paolo a dicembre, Lorenzo a gennaio, Serafina a settembre e poi, chissà quando, i ragazzi, bambini e tutte le persone che ho incontrato…

Non voglio che questa sia l’ultima o penultima volta che posso scrivere sul diario… Sicuramente all’arrivo a Genova scriverò ancora due righe ma poi…. devo aspettare di tornare qui… Se potessi tornerei un altro mesetto a dicembre ma non credo che la scuola e i genitori permetteranno…

Stamattina a Messa mi è venuto il magone mentre Marcial ci parlava… È stato bello vedere che non ero l’unica a doversi asciugare gli occhi ma che anche qualcun’altro era triste e allo stesso tempo felice come me…

Sono stati giorni bellissimi… Il Signore mi ha fatto grandissimi regali e così tante delle persone che ho incontrato…

Meno male che avevo detto che la mia valigia sarebbe stata vuota… Non si sa come mai ma, oltre ad essere piena, emana anche un profumino di… MANGO!!!!!! Ahhhh che buono…..

Questo mese non mi piace chiamarlo “bell’esperienza” perché ora mi sembra che tutto quello che ho visto, vissuto, imparato faccia parte della mia persona, quindi del mio modo di vedere e fare le cose, di rapportarmi agli altri e così via… Mi sento cresciuta e in molte cose anche cambiata… Ora il mio compito è quello di portare questa testimonianza a Genova e di essere ancora missionaria… Con l’aiuto della preghiera mia e (spero) di chi leggerà queste righe mi auguro di riuscirci al meglio.

Sicuramente non mi dimenticherò mai di questi canti durante le messe, gli abbracci, il battere le mani, le facce dei seminaristi così giovani, i bambini per le strade, la gioia di poter andare a Messa tutti i giorni quasi come se la giornata senza l’incontro con il Signore non fosse completa, dire compieta tutte le sere insieme, viaggiare all’aperto su strade massacrate, poter dire il Padre Nostro, l’Ave Maria insieme agli altri in una lingua nuova e tante altre cose che scritte non rendono bene come quando si provano…

Scriverei ancora tantissimo ma il tempo stringe… A presto…

Al mio arrivo in redazione ho trovato cinque dvd sulla scrivania: Santo Domingo 1 e 2, Santo Domingo 3 e 4 eccetera. Tito è stato di parola, non avevo dubbi. così posso anche chiarire, non avendolo scritto ieri, che cassette, dvd e quant’altro servono a realizzare i servizi per il tg della Liguria e dunque il racconto delle attività missionarie in Guaricano.

Per visionare tutto il materiale servirà un po’ di tempo: si tratta di controllare oltre dieci ore di “girato”, in qualche caso più volte, per selezionare poi il materiale da utilizzare.

È un po’ come tuffarsi in un campo di basilico per scegliere le foglioline migliori, sfidando l’ebbrezza da profumo e altre piccole e meno piccole insidie: la voglia di raccontare, l’urgenza di condividere con quante più persone sia possibile la straordinaria esperienza vissuta, il bisogno (a volte fisico) di portare a compimento un lavoro che so essere molto atteso.

La grande insidia è il tempo, che quando è poco alimenta l’impazienza. Ora, il mio tempo è sempre poco, ma per fortuna non sono (più) un ragazzo impaziente. Non essendo più un ragazzo. Ho imparato a conciliare passioni e impegni: alla fine le cose che mi stanno a cuore si fanno un po’ aspettare, però arrivano.

A proposito: una preghierina aiuta.

Oggi pomeriggio toccava l’incontro sul tema della patria in tutti i settori.

Con Fiammetta, Eugenia e Sandra abbiamo fatto il giro di quattro settori.

Quello che abbiamo visto è che nella Mina e nella Nueva Alianza gli incontri sono stati fatti, anche se con poca gente.

Nel settore Emaús nessuno si è presentato. E nel settore Betania si è fatto solo un incontro perché all’altro non è andato praticamente nessuno.

Penso che il problema sia stato che in un giorno di festa così la gente dedica tempo alla famiglia, facendo o ricevendo visite.

Comunque sono stati ammirevoli i membri delle equipe che hanno preparato e portato avanti gli incontri!

…alla posa del primo mattone: sono un po’ questo, la visione delle immagini girate e la verifica delle interviste effettuate. Rappresentano l’autentico inizio della fase esecutiva di un servizio televisivo (vale anche per la radio: la procedura è identica).

Il primo mattone è stato cotto nella telecamera di Tito (quando abbiamo realizzato immagini e interviste), poi è stato messo a seccare (durante i miei dieci giorni di vacanza) nel computer (sempre di Tito) che ha trasformato il contenuto di una dozzina di videocassette digitali in un certo numero di dvd, ciascuno guarnito con pochi ma significativi simboli: il tale dvd contiene le tali videocassette.

Sono gli ingredienti necessari alla preparazione del cibo di cui si nutre il teleutente: appunto, un prodotto giornalistico. Servono immagini, voci, facce, mani, occhi, rughe, sorrisi, dolori. C’è bisogno di persone, delle loro storie, i loro pensieri.

Il mio mestiere è entrare nelle loro storie, nei loro pensieri. Il mio compito è capire se e quando e come le loro cose possano (debbano) essere trasformate in cose di tutti. a volte è pesante. a volte è bellissimo pensare di aver dato voce a persone e storie senza diritto di cronaca.

Sono pensieri che precedono ogni attesa del primo mattone.

11:13 am

Ultima domenica

Ieri era l’ultima domenica… La mattina alle 7 sono andata a messa nella parrocchia Divina Misericordia dove non ero ancora stata… È bellissima sia da fuori che da dentro…

Alla fine della messa Paolo ci ha chiamate sull’altare (tanto per cambiare) e con la Eugi abbiamo letto due parole, preparate la sera prima, in spagnolo… Per l’emozione mi tremavano sia le mani che le labbra…

Alla fine della messa molti sono venuti ad abbracciarci calorosamente augurandoci buon ritorno (sigh) e chiedendo di pregare per loro…
Una cosa così a Castelletto non me la riesco a immaginare…

Alle 9 invece c’è stata la messa con i giovani… Una delle cose più belle, oltre a ascoltare le loro parole, per me è stata cantare alla fine la canción del misionero con tutti loro, suonata da Gregory…

Alle 18:30 c’era la terza messa in parrocchia…. Ero molto tentata di fermarmi ma poi ho sentito di dover/voler fare un ‘altra cosa…

La sera dopo aver pregato con le suore mi sono fermata da loro ad assaggiare i loro mangiarecci piccantissimi….

10:48 am

Dormitona

Oggi per la prima volta mi sono alzata alle 10… Ho dormito benissimo, senza zanzare nel letto, potendo così recuperare alcune ore di sonno… Ora mi sento proprio meglio! Grazie!

Oggi a messa, al momento dei saluti, dopo aver letto con una pronuncia improbabile un foglio in spagnolo, alcune persone della parrocchia ci hanno detto due parole di ringraziamento (per cosa?!).

Non so in quel momento dove sia andato a finire il mio solito autocontrollo, perché sono scoppiata a piangere come una bambina, non so se di gioia o di tristezza, forse entrambe le cose..

Oggi ho ricevuto troppi abbracci, grazie Signore!, aiutami a restituirli!

2:23 pm

Novità

La cosa si sta facendo preoccupante….

Paolo da qualche giorno è diventato super servizievole a tavola…! L’altra sera stava lavando anche i piatti!!

Cosa sarà successo??

2:17 pm

Scacco matto!

Ore 14:08… Ho finito l’indovinello di Einstein!!! Ahhhh che goduria…..

9:17 pm

Gioie semplici

Stamattina a Messa avevo tutti i nostri laici: Francesco, Carmen, Fiammetta, Eugenia, e Sandra, l’ultima arrivata.

Mi ha fatto troppo piacere esserci tutti, e alla fine ho invitato la gente a dare un forte abbraccio di benvenuto a Sandra.

… e vi scrivo due parole di saluto da Santo Domingo.

Rimedio di ieri: mango a volontà, sane carote con quintali di olio, verdura, prugne e tanta acqua….

Rimedio di oggi: succo di limone a barilate, mele e tutto ciò che “stringe”….

Benvenuta alla Missione, Sandra! Speriamo che i giorni che passerai con noi (quasi un mese!) ti piacciano e ti lascino la voglia di tornare!

Che bello poter passare per le strade distrutte (tipo rally) seduta dietro all’aperto, poter vedere tutti questi bambini piccoli soli per le strade, spazzatura un po’ ovunque, case che stanno in piedi per miracolo, cavi della corrente elettrica attorcigliati, cani scheletrici ecc. senza meravigliarsi più come i primi giorni…

Senza girare con la macchina fotografica per catturare ogni particolare di questa realtà che sembra(va) così diversa…

Boh, sarà l’abitudine o non so cosa ma sicuramente mi piace molto di più… Non sentirsi semplici turisti ma parte viva di questa immensa comunità…

E ancora di più sentirsi proprio parte della missione… poter dare una mano in qualunque modo…

E infine aver imparato a dire: grazie Signore!