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Sbobinando (28)

Dopopranzo alla missione: due seminaristi stanno dipingendo la scritta Ambulancia, non perché ci sia da riservare un posto (chi glielo porta via, a don Lorenzo?) ma perché così farà la sua figura; scaletta, scatoletta e pennellino, vedrai che bello.

Io sto guardando il lustrascarpe Pepe: ha la faccia triangolare, un po’ palestinese, la fronte spaziosa e il naso che punta dritto verso le labbra; la bocca piccola contiene parte di una dentatura sgangherata, le orecchie sono grandi e un po’ a sventola; ha il modo di parlare delle persone semplici, con l’espressione un po’ felice e un po’ incerta, la lingua che batte sui denti che mancano.

Sui jeans indossa una felpa bluette con lo stemma di una chiesa, sulla schiena leggo: Hacia El Tercer Plan Pastoral, verso il terzo piano pastorale; la scritta è rotonda e al centro c’è un Gesù Cristo sorridente.

Il lustrascarpe Pepe sa di inestricabili nodi interiori; magrissimo, di media statura, i capelli sono corti e più scuri dei baffi brizzolati, ha una barba non fatta da due o tre giorni; le braccia sono sottili e pelose, le dita magre si muovono con grande abilità: con la mano sinistra prende il lucido nero dalla scatoletta che sringe fra le ginocchia, e con le dita spalma il lucido sul mocassino nero in cui ha infilato la mano destra.

Pepe, da quanti anni fa il lustrascarpe? “Ho cominciato a pulire scarpe da piccolo e non ho mai fatto un altro lavoro: avevo 6 anni, ora ne ho 41. Mi sarebbe piaciuto fare qualcos’altro, studiare per diventare avvocato, ma mi hanno mandato a pulire scarpe e questa è l’unica cosa che ho fatto in vita mia”.

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