Alla spiaggia di Juan Dolio si arriva percorrendo una superstrada ampia e veloce, una mezz’ora abbondante dopo l’uscita dal centro di Santo Domingo; a un certo punto si svolta a destra e ci si trova in un posto identico a tanti altri.
Almeno qui, i Caraibi, come aveva detto un tizio a proposito dell’Italia, sono un’espressione geografica: gli stradoni sono uguali dappertutto, quelli che corrono paralleli al mare fanno ancora più impressione.
Vedendo le palme, finalmente un sussulto: stiamo per entrare nella cartolina. C’è un bar-capanno, siamo i primi clienti, c’è anche una signora italiana un po’ volgare: chi l’ha detto che solo gli uomini fanno turismo sessuale? Dice che viene spesso. Buona vacanza.
Il posto è “telegenico”, ma non ridete se dico che la spiaggia di Arenzano, alla stessa ora, con la sabbia stirata dalla risacca non è meno attraente; in più, l’acqua sa di mare e il mare libera uno sapore di iodio che qui non riesco a sentire.
Il posto mi sembrerebbe finto se un recente ciclone non avesse seminato un po’ di danni, costringendo il titolare di un albergo a svenderlo nonostante sia in buone condizioni generali.
Da una villa ben protetta esce il guardiano e ci spiega che centomila dollari, qualcosa di più qualcosa di meno, bastano per comprare un posto da sogno come quello in cui sta facendo lavori di manutenzione.
Ci guardiamo intorno, tutti vendono qualcosa: un monolocale, un esercizio commerciale, una casa con piscina.
La spiaggia è maltrattata: rami, tronchi d’albero, arbusti: ma l’ha fatto il ciclone di metà luglio? “No, señor, è stato l’anno scorso”. L’anno scorso? Vabbè.
Tito gira a lungo, trova perfino una sorta di prato davanti al mare, ed è bello il gioco della telecamera, che sale dalle piantine alla classica panoramica sulle palme inchinate verso gli ombrelloni e le sdraio.
I ragazzi fanno il bagno, don Lorenzo va a fare la spesa per il pranzo (consumeremo ottimi panini), Francesco stupisce tutti con un formidabile cappellaccio a tesa larga e floscia: uno spettacolo che non mi avventuro a descrivere.
Milena non resiste alle ragazze haitiane che le propongono una testa di treccine, altrettanto la Benny: per lei (Milena aveva già concordato la tariffa) ingaggio una trattativa che vale uno sconto di 5 dollari e un’accusa. “Tu non sei italiano”, mi dice una delle parrucchiere.
Un po’ più in là Tito sta riprendendo una barca carica di pesce fresco; Francesco accetta l’invito di un venditore di noci di cocco e in pochi minuti abbiamo anche il dessert.
L’apertura delle noci è spettacolare, a colpi di machete, la lama che sfiora le dita che tengono il cocco, lui sicuro di sé e noi col fiato sospeso. Il conto è onesto.
La troupe (Francesco, Tito e io) dichiara finita la gita e parte per Boca Chica.