10:10 pm

Najayo

Najayo è una carcere abbastanza vicina a Santo Domingo, situata nei pressi di San Cristobal.

C’è lì dentro un signore della parrocchia, accusato da una ragazzina di averla violentata quando aveva sette anni. Ovviamente lui si proclama innocente, ma altrettanto ovviamente la giustizia l’ha rimandato a giudizio, ed è recluso in attesa del processo.

Il tipo è abbastanza sereno, e spera di riuscire in qualche maniera ad evitare il processo. Ha preso la sua permanenza in carcere con fede, e il suo atteggiamento moralmente ineccepibile gli sta attirando la simpatia e il rispetto dei compagni di cammino.

Ma quello che mi ha colpito di più in questa visita è stata la condizione della carcere. La cella dove dorme questo signore è abitata da più di cento (sic!) persone. La cella ha dimensioni approssimate di dieci metri per otto. Colpisce, all’entrarvi, che lo spazio che si vede disponibile è soltanto un corridoio di un’ampiezza di due o tre metri. Ai lati del corridoio, dentro alla cella, delle pareti di playwood delimitano dei cubicoli dove hanno la loro “stanza” la maggior parte di reclusi di quella cella. Gliel’hanno comprata a quelli che c’erano prima, e all’andarsene la venderanno a qualcuno di quelli che rimangono. Che fino ad allora dovranno probabilmente accontentarsi di essere parte del gruppo di 30 persone che tutte le sere dorme per terra nel corridoio centrale.

Da parte sua, il nostro amico vive in una “stanza” di un metro e mezzo per due. Ha le pareti di cartone. Dentro ci sta un solo letto, nel quale lui dorme testa contro i piedi con un compagno. Un altro compagno dorme per terra su un pezzo di stuoia. Il nostro amico paga un “affitto” di 100 pesos (2 euro) al mese a quello che gliel’ha messa a disposizione. Invece se un giorno si comprerà qualcosa di più decente lo pagherà sui quattromila pesos (circa 80 euro), e sarà (sic!) suo!

All’interno del carcere colpisce la presenza di luoghi di preghiera: in vari angoli del carcere ci sono gruppi di evangelici che predicano, con un altoparlate a pile, accompagnati da tamburi e güiras. Ma non sono predicatori che vengono da fuori, sono degli stessi reclusi. Mi è stato spiegato che a livello cattolico non c’è nulla di equivalente. C’è solo un diacono che da più di trent’anni visita la carcere quasi tutte le settimane, e la domenica fa una celebrazione della parola.

Questa visita mi ha scosso abbastanza. Davvero sono condizioni disumane. Ti domandi perché non si investono un po’ più di soldi per migliorare loro la vita. Ma probabilmente me ne andrò dal paese senza ricevere risposta.

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