Sono arrivate insieme due ricorrenze particolari, il complemese di Francisco e la festa del papà.
Finalmente il piccolo sta meglio, la febbre è passata e lui ha riacquistato il suo solito buon umore.
Essendo un padre adottivo, per me dovrebbe essere una doppia festa. Non è stato forse San Giuseppe per Gesù il primo e direi il più importante padre adottivo di cui si abbia memoria?
Un anno fa in questo periodo non avrei mai detto che sarei stato qui con in braccio mio figlio, fa uno strano effetto per un genitore adottivo. In genere ci si abitua a diventare padre gradualmente, durante i mesi della gravidanza e quando i figli nascono si impara a conoscerli pian piano.
Nel nostro caso, invece, all’improvviso ti ritrovi con questo esserino tra le braccia, che ha già percorso un tratto della sua vita senza di te e bisogna imparare a conoscersi, capirsi.
Certo bisogna dire che il piccoletto è tosto, ha un carattere forte. Molto forte! Dalle poche informazioni che abbiamo del suo passato, ha dovuto combattere per nascere, lottare per sopravvivere nella prima settimana di vita, affrontare inconsciamente il senso dell’abbandono, resistere per due mesi da solo in ospedale, vivere per mesi in istituto con le attenzioni di qualche gentile signora (a cui siamo immensamente grati) che si sarà presa cura di lui insieme ad altri dieci, venti o chissà quanti bambini, ma senza l’amore di una madre e di un padre.
Poi siamo arrivati noi, due genitori un po’ pallidi per gli standard locali, e anche un po’ incerti e preoccupati, come tutti i genitori al primo figlio.
La prima volta che ce lo hanno portato ci ha squadrato con la sguardo accigliato che riserva per i suoi momenti seri ed il dito in bocca, era un piccolo scricciolo indifeso, che ci scrutava per capire chi fossimo.
In questo tempo che abbiamo passato con lui ogni giorno ci ha rivelato cose nuove da scoprire, un nuovo gesto, una nuova capacità, un nuovo borbottio. siamo diventati sempre di più famiglia, insieme.
Essere padre cambia sicuramente tutte le prospettive, ci fa rivedere la nostra vita in termini diversi, riconsiderare tanti aspetti che prima potevano essere definiti importanti, pur non mettendo in discussione i sentimenti verso tutte le altre persone che amiamo.
Vorrei dirgli tante cose e dargli tutto l’amore che potrò per fargli superare nel miglior modo possibile l’abbandono e la solitudine dei suoi primi mesi.
Non è facile essere genitori e neanche figli, impareremo insieme. Si dice spesso che l’amore risolve tutto. Alcuni dicono che è semplicemente una frase fatta, ma invece penso che sia un bel punto di partenza.
A differenza di altre famiglie, il nostro essere fisicamente diversi servirà a ricordarci quotidianamente che l’amore non è mai scontato, che bisogna amarsi tutti i giorni e dirselo con le parole, ma anche con i gesti. L’amore è una pianticella che va innaffiata costantemente con pazienza e con cura. Cercherò di trasmettere a mio figlio tutti i valori e gli ideali in cui credo, in maniera tale che possa crescere come persona.
Oggi è tutto più facile, basta un abbraccio o un bacio per risolvere tanti piccoli problemi, con la crescita non sarà sempre così, ma è nella natura delle cose. Verrà forse un’età in cui sarà difficile parlarsi, confrontarsi, nel mio caso di genitore adottivo in un momento di rabbia potrei anche sentirmi dire: perché mi rimproveri, tu non sei mio padre. Non sarebbe certo facile rispondere a un’affermazione di quel genere. Dovremo certamente ricordarci quanto amore già ci lega dopo pochi mesi passati insieme, dovremo forse ricordarci che l’amore di un genitore verso un figlio e di un figlio nei confronti di un genitore non è certamente legato soltanto ai geni trasmessi nel DNA, ma è invece il risultato di quell’amore costante e quotidiano di cui ho parlato.
Nei momenti belli ed anche difficili, penso che il lavoro più complicato per un genitore verso i figli, sia quello di essere presente e vicino, senza diventare per questo troppo ingombrante. Come dicono spesso i saggi, bisogna insegnare loro a sviluppare le ali, per poi lasciarli volare liberi.
Se mio figlio già potesse parlare e comprendesse già tutte le mie parole mi piacerebbe dirgli che nel cammino della sua vita sarò al suo fianco fino a quando il Signore me lo consentirà. Mi piacerebbe che lui sapesse che in qualsiasi momento lui abbia bisogno, durante quel cammino, potrà allungare la mano, trovando sempre la mia.
O forse la mia missione di genitore sarà ancora più completa se riuscirò a trasmettergli tutte queste cose senza dirlo con le parole.
Un saluto ed un abbraccio a Don Francesco e Orietta.
Un abbraccio fortissimo a Carmen per tutto l’affetto che ci ha dimostrato durante tutta la sua permanenza.
Grazie Signore per averci fatto incontrare loro e tutte le persone speciali che sono con noi nella Missione del Guaricano!