Contributi del giorno lunedì 19 Settembre 2005

Per la prima volta dopo sei mesi sono riuscito a tornare a visitare qualche comunità apostolica.

Tra una cosa e l’altra mi ero lasciato vincere dalla pigrizia e non l’avevo più fatto.

E dire che, adesso come prima, tutte le comunità che visito non cessano di ringraziare il Signore per la mia visita!

Voglio continuare, Signore, aiutami a non impigrirmi di nuovo!

Ñaña è una signora sui cinquantacinque anni, molto cara e molto attaccata alla chiesa. Suo marito era andato quattro anni fa a Miami per cercare di mandare qualcosa a casa, se la guadagnava come venditore ambulante di hot dog. Tre mesi fa è morto improvvisamente di un infarto, là en los Países, come dicono qua. Il travaglio del rimpatrio della salma, tanto dolore. La fede che si era manifestata viva e forte.

Un mese fa, durante una “campagna” degli evangelici della chiesa di fronte a casa sua, Ñaña ha sentito qualcosa. “La mia vita è diversa, sono una creatura nuova”, dice sorridendo, una frase che qui è tipica per indicare una decisione di vita, un cambio radicale.

Le domando se prima non amava il Signore. “Sì, lo amavo, ma adesso sono diversa”. E con tanta leggerezza lasci la chiesa in cui hai amato il Signore per tanti anni? “Ho scoperto adesso che la Parola di Dio mi dice cose che prima non capivo. Ho scoperto tante piccole bugie e me ne sto liberando”.

Questo delle bugie mi puzza. Risulterà che è il discorso delle immagini, che da parte degli evangelici di qua è un cavallo di battaglia contro la chiesa cattolica, forti anche del fatto che nell’afrocristianesimo caraibico esiste la santería simile a quella cubana, nella quale gli spiriti della tradizione vudú sono rivestiti delle apparenze dei santi cristiani, e quindi c’è tutta una religiosità sommersa che “lavora” con altari su cui si collocano decine di immagini di santi.

Provo a parlare a Ñaña dell’Eucaristia che adesso riceverà solo una volta al mese (quella chiesa per lo meno ha un ritmo mensile per la “santa cena”, altre chiese la celebrano una sola volta all’anno). Sembra che non le importi più di tanto. Le parlo del fatto che ha sempre vissuto in obbedienza al papa, non sa cosa rispondermi, ma si accorge che si avvicina (per caso?) una sorella della sua chiesa e mi mette a discutere con lei. Ho tagliato corto e me ne sono andato, con il sorriso sulle labbra e con l’amarezza nel cuore.

9:19 pm

Apagones

Ci risiamo con i black-out lunghi. Ieri ci si sono scaricate le batterie dell’inversore. Era da un po’ che non succedeva. Si scaricano perché il black-out dura sulle dieci ore.

Stasera di nuovo. Oggi abbiamo avuto luce dall’una alle sette e mezza del mattino, e dalle otto e mezzo fino all’una del pomeriggio.

Dovrebbero essere dovuti al fatto che il petrolio è aumentato troppo e il governo non ce la fa a pagarlo.

9:17 pm

Sbobinando (23)

A Boca Chica arriviamo intorno alle 15; ho letto e mi hanno detto che è un luogo di peccatori e peccatrici.

È incredibile che il posto si presenti, almeno dall’accesso dove capitiamo noi, come luogo per famiglie: un pezzo di spiaggia grande quanto mezzo campo di calcio, giochi per bambini, venditori ambulanti carichi di salvagenti di tutte le taglie, per un mare la cui profondità non supera la misura di una tibia; verso destra la spiaggia diventa una lingua di sabbia compatta e dura, larga due metri e lunga qualche centinaio.

Penso che abbiamo fatto bene a preferire Juan Dolio, prima di tutto perchè qui non saremmo riusciti a fare il bagno, poi perché c’è più confusione; quanto al resto, non so.

Mi guardo intorno e penso a quando ero militare (purtroppo sono già passati quasi trent’anni): i miei amici volevano essere invitati a Genova con la promessa di accompagnarli in via Prè.

Non mi credevano quando dicevo che era un luogo di peccati trascorsi, sempre meno colorato e sempre più triste: poca e sgangherata sostanza, tanta leggenda, storie da sopravvissuti.

A Boca Chica staremo poco. Forse perché cerchiamo altro, troveremo solo qualche comparsa. E per fortuna, tracce di altre storie.

9:17 pm

Sbobinando (22)

Alla spiaggia di Juan Dolio si arriva percorrendo una superstrada ampia e veloce, una mezz’ora abbondante dopo l’uscita dal centro di Santo Domingo; a un certo punto si svolta a destra e ci si trova in un posto identico a tanti altri.

Almeno qui, i Caraibi, come aveva detto un tizio a proposito dell’Italia, sono un’espressione geografica: gli stradoni sono uguali dappertutto, quelli che corrono paralleli al mare fanno ancora più impressione.

Vedendo le palme, finalmente un sussulto: stiamo per entrare nella cartolina. C’è un bar-capanno, siamo i primi clienti, c’è anche una signora italiana un po’ volgare: chi l’ha detto che solo gli uomini fanno turismo sessuale? Dice che viene spesso. Buona vacanza.

Il posto è “telegenico”, ma non ridete se dico che la spiaggia di Arenzano, alla stessa ora, con la sabbia stirata dalla risacca non è meno attraente; in più, l’acqua sa di mare e il mare libera uno sapore di iodio che qui non riesco a sentire.

Il posto mi sembrerebbe finto se un recente ciclone non avesse seminato un po’ di danni, costringendo il titolare di un albergo a svenderlo nonostante sia in buone condizioni generali.

Da una villa ben protetta esce il guardiano e ci spiega che centomila dollari, qualcosa di più qualcosa di meno, bastano per comprare un posto da sogno come quello in cui sta facendo lavori di manutenzione.

Ci guardiamo intorno, tutti vendono qualcosa: un monolocale, un esercizio commerciale, una casa con piscina.

La spiaggia è maltrattata: rami, tronchi d’albero, arbusti: ma l’ha fatto il ciclone di metà luglio? “No, señor, è stato l’anno scorso”. L’anno scorso? Vabbè.

Tito gira a lungo, trova perfino una sorta di prato davanti al mare, ed è bello il gioco della telecamera, che sale dalle piantine alla classica panoramica sulle palme inchinate verso gli ombrelloni e le sdraio.

I ragazzi fanno il bagno, don Lorenzo va a fare la spesa per il pranzo (consumeremo ottimi panini), Francesco stupisce tutti con un formidabile cappellaccio a tesa larga e floscia: uno spettacolo che non mi avventuro a descrivere.

Milena non resiste alle ragazze haitiane che le propongono una testa di treccine, altrettanto la Benny: per lei (Milena aveva già concordato la tariffa) ingaggio una trattativa che vale uno sconto di 5 dollari e un’accusa. “Tu non sei italiano”, mi dice una delle parrucchiere.

Un po’ più in là Tito sta riprendendo una barca carica di pesce fresco; Francesco accetta l’invito di un venditore di noci di cocco e in pochi minuti abbiamo anche il dessert.

L’apertura delle noci è spettacolare, a colpi di machete, la lama che sfiora le dita che tengono il cocco, lui sicuro di sé e noi col fiato sospeso. Il conto è onesto.

La troupe (Francesco, Tito e io) dichiara finita la gita e parte per Boca Chica.