Tentativo d’intervista.
Dico tentativo perché si vede a occhio quando non c’è speranza: la ragazza dallo sguardo perduto sta proprio pensando ad altro.
Le chiedo della bambina. “Ha quindici giorni, si chiama Liliam”, risponde senza cambiare espressione.
La bimba è un angioletto infilato in una tutina rosa, la testina è protetta da una cuffietta bianca con disegnini di frutta.
La donna anziana ci spiega che la ragazza è preoccupata da un gravissimo problema: la bambina più grande (quella seduta accanto alla mamma), da un mese ha smesso di camminare.
Che cosa è successo? “È caduta dalla sedia e ha battuto la schiena”.
All’ospedale che cos’hanno detto? “Non ce l’hanno portata: la famiglia non ha i soldi”.
Come, la famiglia non ha i soldi: ne servivano così tanti? “No, ma la famiglia è così povera che non ha potuto nemmeno far visitare la bambina”.
Così la piccola rimane lì, senza nessuna cura. Magari bastava poco.
Prova a guardarla Orietta, che è infermiera e come minimo sa come toccarla. Ma che può fare?
Ci chiamano dalla baracca di fronte.
Da una porta di lamiera sbucano una ragazza e una bambina, in un attimo arriva un giovane con la voglia di farsi intervistare: è il terzo (o il primo) membro della famiglia, fa il guardiano di notte a un distributore di benzina.
“È un lavoro pericoloso – mi dice –soprattutto perché è proprio di notte che i tíguere fanno le loro scorribande nel barrio. Sparano, ammazzano anche”.
Hai paura?, gli chiedo. Sorride: “Non posso avere paura: è un lavoretto, ma è l’unica cosa che sia riuscito a trovare”.
Ti pagano bene? “Quattromila pesos al mese”. Centoventi, centotrenta euro, se ho contato bene.
E così adesso sappiamo il valore di una vita nella bella Repubblica Dominicana.