Juan Reyes si è andato a cambiare per fare l’intervista.
L’avevo incontrato sulla scaletta ripida che dalla strada scende nella distesa di baracche lungo la cañada, la versione dominicana delle favelas che ho visto in Brasile; lì (in Brasile) sono impenetrabili a meno di essere accompagnati da persone credibili e conosciute, c’è da farsi ammazzare.
Per non correre rischi, prima di scendere avevo cercato qualcuno con cui parlamentare.
Juan Reyes era in jeans e canottiera, davanti alla prima baracca; mi aveva chiesto in inglese se avessi bisogno di qualcosa, gli avevo risposto che volevo notizie su questo luogo.
È un posto che fa impressione: baracche su baracche lungo un fiume putrido; vedo bottiglie di plastica squarciate, resti di un bambolotto, avanzi di pneumatici; sacchetti lacerati appesi ai rami degli alberi lungo il canale danno la misura del livello dell’acqua nei giorni di piena.
Sacchetti e altri detriti arrivano a due metri, significa che le baracche vengono invase da schifezze d’ogni genere.
Aspettando Juan mi guardo intorno. Da una casetta graziosa, pareti rosa carico con piccole finestre verdi, esce una giovane signora in canottiera rosa, con un bel sorriso aperto.
Signora, non è pericoloso abitare qui?. “Certo che è pericoloso, ma siamo poveri e non possiamo comprare casa da un’altra parte. E allora siamo costretti a restare nella cañada: quando piove stiamo in pericolo”.
È già successo. Succede ogni volta che piove: la fogna si gonfia fino a tracimare, come fanno i piumi in piena.
Chi ha mai visto la piena di una fogna?