Contributi del giorno martedì 6 Settembre 2005

Stamattina ho fatto un passo in più per sostituire Carlos, il maestro che ha abbandonato il lavoro, ma ho scoperto che è meno facile del previsto.

L’impiegata del ministero dell’educazione mi ha richiesto di passare per il distretto scolastico, i quali hanno sempre dato l’idea di non volerlo licenziare.

Così domani faccio la richiesta via distretto, vediamo cosa succede.

Sono stato alla scuola serale stasera, e ho visto qualcosa di bello: gli iscritti sono già un centinaio (l’anno scorso in tutto l’anno se ne sono iscritti solo 67), e quando sono passato per le classi ho visto tutti impegnatissimi a copiare una lezione dalla lavagna.

Ieri sera c’è stato un problema, ma dovuto a uno studente che era con noi l’anno scorso. È saltato dentro scavalcando il muro, con l’intenzione di provocare uno studente. È poi uscito, ma per aspettarlo fuori. Così Germania ha dovuto chiamare la polizia, che ha provveduto a portarlo dentro.

Non sembra, ma di sera ci possono essere facilmente dei problemi. Sono contento perché Germania sta acquistando grinta, e mi sembra che abbia imparato a dominare la situazione.

9:07 pm

Sbobinando (14)

Un bambino perse il suo aquilone che si impigliò nei fili della luce.

Un ragazzo perse le scarpe che si impigliarono nei fili della luce.

Dove sta lo sbaglio?

“Le scarpe appese sono un segno di protesta”, dice Francesco. Cioè? “Sono stati gli amici di un ragazzo ucciso dalla polizia”. Un ragazzo? “Sì, un membro di qualche banda”.

Qui soprattutto di sera è tutta una guerra di bande. La gente normale sta a casa, il barrio diventa territorio di caccia dei tiguere, li chiamano così.

Sono pericolosi? “Molto pericolosi”. E le scarpe? “Sarà andata così: una sera è arrivata la polizia e c’è stato uno scontro a fuoco, oppure più semplicemente gli hanno sparato per chissà quale ragione, non sempre quelle che succede ha una spiegazione lineare”.

Resta la testimonianza. Le scarpe appese urlano la protesta degli amici del morto. Dicono che secondo loro qui è stata fatta giustizia sommaria. Non ne sappiamo di più.

Lungo la strada fra Las Terrenas e Samanà vedremo una decina di paia di scarpe appese nello stesso punto.

Pomeriggio a spasso, vediamo che cosa troviamo. Vediamo se è vero che basta uscire per inciampare nelle notizie: l’ho sempre detto, a volte lo ripeto come se fosse una formula magica.

Ci guida Francesco, un genovese che passa qui buona parte dell’anno. “Sono in pensione, dopo una vita passata in mezzo ai numeri”, racconta.

Lavorava all’Inps (o alla Banca d’Italia?, ndr), anche in missione continua a occuparsi di conti, per esempio quelli della farmacia: “È una formidabile risorsa per la gente del barrio – mi spiega: qui tutto è a carico del paziente, le medicine costano molto, a volte i prezzi sono impossibili. Da noi si possono comprare risparmiando almeno il trenta per cento”.

Non gli chiedo come ciò sia possibile perché la mia attenzione si sposta sull’uomo che sta abbassando la saracinesca, neanche a farlo apposta, di una farmacia. Una gran bella farmacia, a giudicare dalle tre grandi serrande in fila: faranno non meno di cinque-sei metri di vetrine.

L’uomo lavora con calma, posizionando enormi lucchetti e facendoli scattare; poi controlla che siano ben chiusi, sotto gli occhi attenti della signora che gli sta al fianco, alta e bella, vestita con sobria eleganza: maglietta con ampia ma misurata scollatura, giacca beige di buon taglio sopra pantaloni scuri, capelli ramati divisi in mezzo e raccolti da un bel fermaglio.

Lui indossa pantaloni chiari di taglio classico, la camicia azzurra a maniche corte è bene infilata nei pantaloni; se la portasse fuori dai calzoni, la camicia nasconderebbe la pistola infilata nella cintura, ma è chiaro che la pistola, canna d’acciaio e calcio zigrinato nero, è lì per essere vista.

E io un farmacista con la pistola non l’avevo mai visto.

Fossimo a Genova, non mi avrebbe neanche risposto. Io stesso forse non gli avrei neanche fatto la domanda: “Señor, ¿por qué usted tiene la pistola?”.

Come si fa a chiedere a uno con la pistola nei pantaloni come mai tiene la pistola nei pantaloni? A volte si fa. E poiché a Santo Domingo la gente ha la cortesia di rispondere, anche il farmacista con la pistola interrompe le operazioni di messa in sicurezza del suo negozio e mi risponde: “Perché dobbiamo difenderci, non abbiamo alternative”.

Da chi?, gli chiedo, giusto per costruire uno spazio di dialogo. “Dalle bande di delinquenti che infestano le nostre strade”, spiega con garbo, senza alzare la voce.

I suoi trisavoli dovevano essere schiavi portati dall’Africa, chi è venuto dopo s’è incrociato con gente arrivata dall’Europa. Lui è un mulatto piuttosto chiaro, ha i capelli cortissimi e bianchi, porta occhiali senza montatura e stanghette piatte d’oro, è sul metro e settanta, robusto.

Vede le nostre facce perplesse. E domanda: “Quanta polizia ha visto in giro?”. In effetti non molta, ma sono le quattro di domenica pomeriggio e non è che la polizia possa andare dappertutto. “Qui se ne vede poca, mentre di delinquenti se ne vedono tanti”.

Guardo la pistola: le è mai capitato di doverla usare? “No, finora sono stato fortunato”. Chissà se è vero.

Il ministero dell’Educazione ci ha assegnato una televisione da 14″, l’ho ritirata stamattina.

Speravamo fosse un po’ più grande, ma, come si dice, a caval donato non si guarda in bocca.

Grazie, Signore, grazie, Ministero dell’Educazione.